The Crown 4, Netflix

Un prodotto di elevata qualità come The Crown, per quanto si possa pensarlo, non danneggia mai l’immagine dei Windsor. Arriva un punto in cui, tuttavia, la sfida tra realtà e finzione si fa aperta. Non è un caso che l’unica volta in cui gli addetti stampa di Buckingham Palace si sono esposti è stato proprio in occasione di questi nuovi episodi e del temuto debutto di Lady D.

È lei il nervo scoperto, la scheggia impazzita in un sistema chiuso, l’elemento privo di equilibrio e quindi, al contempo ottimo carburante della narrazione. Tanto che ancora oggi non si smette di raccontarla (come farà presto Larraín). Peter Morgan, show runner, le dà il giusto spazio, senza mai prendere totalmente le sue parti. La tratta con la stessa curiosità da entomologo con cui guarda tutti gli altri personaggi, con fare onnisciente che, forse sì, è l’aspetto che può infastidire molti, ma che determina il successo della serie.

Nell’assertività che distingue lo stile di The Crown – e che spinge il pubblico a guardare la serie con Google a portata di mano – questa volta muta impercettibilmente qualcosa. La quarta stagione, soprattutto negli episodi iniziali, si fa molto evocativa, cercando di dire qualcosa che desidera rivelare ma anche edulcorare. Lo fa per esempio, inserendo in colonna sonora una canzone come Inglan is A Bitch di Linton Kwesi Johnson. Un reggae giamaicano poco ossequioso della madrepatria, scelto proprio per i titoli di coda dell’episodio su Commonwealth e apartheid (4×08)!

O ancora lo fa arricchendo la regia di significati nascosti. Colpisce per esempio l’insistita metafora sugli animali: la lunga sequenza alternata fra la caccia della Regina e di Filippo, la pesca di Carlo e l’attentato a Lord Mountbatten (ep.1). Tutta la violenza dell’uomo sull’uomo, della guerra civile con l’IRA, racchiusa in un’evocazione così primitiva. O ancora, l’evidente parallelismo tra Diana, che supera brillantemente la “prova di Balmoral” (ep. 2) e il cervo che poco dopo viene appeso in salotto come trofeo.

The Crown 4 ep.2 Balmoral Test - Credits: Netflix
Il trofeo (di) Diana – The Crown 4×02 La prova di Balmoral – © Netflix

Alla regia, in questo caso di Paul Whittington, basta una sola immagine per dire tutto senza dire nulla. Per inquadrare inequivocabilmente il modo in cui i Windsor vedevano Diana Spencer. E in effetti la regia aiuta molto a definire anche l’identità fortemente femminile della stagione. Il settimo, il nono e il decimo episodio sono tutti diretti da Jessica Hobbs. Rispettivamente sono focalizzati su Margaret, Diana e sulla risoluzione del conflitto tra la Regina e la Thatcher. Sembra nulla ma, senza mai intaccare la coerenza visiva della serie, la diversa prospettiva registica si percepisce e rende le vicende narrate più credibili. Più intense.

Ci porta per esempio a soffrire ancora una volta insieme Margaret, eterna seconda, soprattutto in un momento di estrema vulnerabilità (4×07). O ci catapulta nel mondo contraddittorio, capriccioso e tormentato della giovane Diana nei momenti più introspettivi (4×09).

Gli sguardi più attenti e fantasiosi avranno notato persino che l’ingresso di quest’ultima nella Palazzo Reale è narrato attraverso allegorici riferimenti disneyani. La favola (4×03) è infatti l’episodio del celebre topolino tra i saloni e della zucca arancione in cucina. Diana diventa una novella Cenerentola divorata brutalmente dalla realtà.

Questa dimensione favolistica, che venga colta o meno, è la più corretta chiave di lettura di The Crown. Come affermato dalla produzione, che ha rifiutato di inserire un disclaimer di finzione all’inizio di ogni episodio, non è altro che una storia, non la Storia. Il pubblico è abbastanza intelligente da capire dove terminano le fonti dichiarate e dove inizia il vero e proprio lavoro di sceneggiatura. E se i riferimenti a cose e persone non son ovviamente casuali, è anche vero che tutto ciò che vediamo è solo un riflesso del nostro immaginario (di cui siamo anche consapevoli), non certo un documentario.

La sfida della quarta stagione è stata quella di toccare eventi e personaggi ancor più radicati, idealizzati e stereotipati nel sentire comune rispetto ai membri effettivi dei Windsor. Non solo Diana ma anche Camilla Parker-Bowles e Margaret Thatcher. È qui che ha incontrato la vera resistenza del pubblico ma, come sempre e attraverso un brillante sviluppo narrativo, The Crown ha tenuto fede al suo stile laconico e caustico, incurante dell’agitazione popolare, portando a termine la sua parte più memorabile, finora.

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