The Menu
Ralph Fiennes e Anya Taylor-Joy in THE MENU. Photo Eric Zachanowich. Courtesy of Searchlight Pictures. © 2022 20th Century Studios All Rights Reserved

The Menu è una dark comedy che vi farà riconsiderare il lato nascosto dietro le quinte dell’alta cucina e delle sue celebrità/chef. Mentre il mondo dell’intrattenimento subisce un esubero di spettacolarizzazione della venerazione del buon cibo (ma soprattutto di quello che aspira all’eccellenza), il regista Mark Mylod e gli autori Seth Reiss e Will Tracy si divertono a liberare il caos dietro alla perfezione.

Programmi come Masterchef o Chef’s Table, nelle loro molteplici edizioni, affollano da anni quello che è diventato un culto dell’ingrediente perfetto, o del ristorante inaccessibile, fino a glorificare chef come divinità illuminate. Dal recente Boiling Point di Philip Barantini, passando per The Menu e arrivando a La Brigade di Louis-Julien Petit (di prossima uscita), senza dimenticare la serie TV The Bear, negli ultimi mesi il cinema e la serialità rielaborano i lati meno esplorati delle cucine senza rinunciare alla crudele ironia che ne è parte integrante, ricordando di ripetere ai propri spettatori che l’elemento “ansia” è fondamentale quando si aspira a grandi risultati in questo campo.

A proposito di The Menu

Un gruppo di ignari buongustai si reca su un’isola costiera degli Stati Uniti nord-occidentali per un’esperienza culinaria: mangiare in un ristorante esclusivo, Hawthorn. Qui li servirà lo Chef Julian Slowik (Ralph Fiennes), sorprendendoli con un menù degustazione che ha qualcosa di veramente “speciale” in serbo per loro come fine pasto.

Gli ospiti sono una coppia, Margot (Anya Taylor-Joy) e Tyler (Nicholas Hoult), tre giovani esperti di informatica che hanno voglia di divertirsi, Bryce (Rob Yang), Soren (Arturo Castro) e Dave (Mark St. Cyr), una coppia benestante e più anziana composta da due clienti abituali del ristorante, Anne e Richard (Judith Light e Reed Birney), il celebre critico gastronomico Lillian Bloom (Janet McTeer), il suo caporedattore privo di personalità Ted (Paul Adelstein) e una famosa ex star del cinema ormai alla deriva (John Leguizamo) con la sua assistente/fidanzata Felicity (Aimee Carrero).

L’ambiente che li accoglie è unico e il menù pensato per loro talmente elaborato da non essere quasi compreso dalla maggior parte dei commensali. Ma dietro alla cerebrale elaborazione di Slowik si cela un piano distruttivo: con i suoi piatti inizierà a raccontare ad ognuno di loro il lato perverso, autodistruttivo e spietato del lavoro che osannano. Una vendetta liberatoria verso chi è a conoscenza solo del risultato finale, ovvero quegli assaggi geometricamente perfetti dai sapori innovativi raggiunti con tecniche semi impossibili.

THE MENU. Courtesy of Searchlight Pictures. © 2022 20th Century Studios All Rights Reserved

Tornare alle origini: meglio un cheeseburger di una sferificazione

Alla base dell’opera dello chef ormai esausto della sua vita, la lettura di classe: distinguere in chi serve e chi viene servito, marcando una linea spessa tra lui e un pubblico di adoranti falsi intenditori. SPOILER Margot è l’unica a cui non interessa molto l’alta cucina. Non doveva essere lì e preferirebbe tornare a casa per mangiare qualcosa di “vero”, come un cheeseburger. Il suo personaggio umanizza, seppur per poco, quello chef ormai rassegnato a cui il regime della perfezione a tutti i costi ha distrutto la vita.

Sul filo del rasoio le loro interazioni diventano un gioco botta e risposta verso la salvezza, il tutto intervallato dalla danza crudele architettata per tutti gli altri ed inserti di piatti ricercatissimi con il loro nome in sovraimpressione, come in quei programmi televisivi di cui The Menu si prende gioco.

In breve

Se proprio dovete concedervi un’esperienza di degustazione per pochi, scegliete un ristorante sulla terraferma. Lo insegna The Menu, che è l’apoteosi inquietante ed esplosiva della follia e del genio, dietro al lavoro di una star della haute cuisine. Da Chef’s Table a Hunger Games il passo è incredibilmente breve se siete ospiti di Julian Slowik.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.

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