The Midnight Sky (George Clooney, 2020) - Credits: Netflix

The Midnight Sky (2020) segna la settima prova alla regia per George Clooney, in un’opera pensata direttamente per lo schermo domestico, sulla piattaforma Netflix. Come tutti i film in lizza per gli Oscar e l’intera stagione dei premi, sarebbe uscito in sala solo per alcuni giorni. Inutile dire perché non è stato possibile in Italia, ma ha avuto comunque il più alto tasso di distribuzione negli ultimi mesi nel resto del mondo.

La storia è tratta dal romanzo di fantascienza La distanza tra le stelle (Good Morning, Midnight), di Lily Brooks-Dalton. Clooney ha ritagliato e adattato per sé il ruolo del protagonista, Augustine Lofthouse, nonostante nelle pagine di Brooks-Dalton il personaggio sia molto più anziano. La “soluzione” in questo caso è stata quella di renderlo un malato terminale, che proprio per questo decide di non mettersi in salvo quando un incidente nucleare minaccia la sopravvivenza sulla Terra, nel 2049.

The Midnight Sky è il tipo di film che ci si aspetta agli Oscar

Per entrare nei panni malconci del Dott. Lofthouse, Clooney ha perso molto peso rapidamente, confessando solo poche settimane fa di essere stato ricoverato a causa dello stress subito dal suo corpo. Se a questo si aggiunge che alcune riprese sono state effettuate realmente a oltre -30° C, si comprende un certo tipo di lavoro, fisicamente estenuante, compiuto anche in vista degli Oscar. E di solito è un lavoro che ripaga bene, molto apprezzato dall’Academy.

The Midnight Sky ha avuto un grande impatto sulla piattaforma, almeno in Italia è rimasto nella Top 10 Netflix per tutto il periodo natalizio. Tuttavia chi si aspetta un grande film di fantascienza rimarrà inevitabilmente deluso. Si tratta infatti di un grande dramma intimistico, che al massimo sfrutta alcuni tropi fantascientifici: l’incidente nucleare, l’ultimo sopravvissuto, la navicella spaziale, la missione in cerca di vita nello spazio. A dir la verità c’è anche troppo, non sempre approfondito in maniera adeguata.

Lo scopo del film in effetti non è quello di raccontare una grande avventura, ma quello di raccontare una grande solitudine, intrinsecamente umana. La prima, inevitabile, impressione che si ha è che non accada nulla, almeno nella prima parte. L’introduzione e il “primo atto” sono dedicati interamente alla solitudine silenziosa di Augustine. La neve e il ghiaccio intorno rendono quel silenzio persino più irreale.

Un’intimità poco sfruttata dalla regia

Questa solitudine è interrotta improvvisamente da una bambina, Iris, che senza mai pronunciare una parola inizia a seguire Lofthouse come un’ombra e in qualche modo a spingerlo a non lasciarsi morire. Se si legge fra le righe, non serve molto tempo a capire chi sia questa bambina. O se sia reale o meno. La bellezza del suo personaggio, però, risiede interamente nella vitalità disarmante della sua interprete, la piccola Caoilinn Springall.

George Clooney e Caoilinn Springall in The Midnight Sky - Credits: Netflix
George Clooney e Caoilinn Springall in The Midnight Sky – Credits: Netflix

È l’unico personaggio a cui in effetti ci si affeziona, poiché un notevole difetto del film è la volontà di non scavare troppo a fondo nelle solitudini che va a raccontare. Questa “debita distanza” registica si percepisce soprattutto nei confronti del Comandante Adewole (David Oyelowo) e della Dottoressa Sully (Felicity Jones). Augustine Lofthouse, cioè, non è l’unico volto del film. C’è un intero equipaggio di cinque persone, in orbita di rientro verso la Terra, totalmente ignaro dell’incidente terreste. L’ultimo compito dell’astronomo rimane quello di contattare la navicella e salvare chi vi è a bordo.

Ma Adewole e Sully, dicevamo, aspettano una bambina, ed è questa l’unica cosa che sappiamo del loro rapporto. Non si comportano mai come una coppia né tanto meno come due persone attratte l’uno dall’altra. La stessa cosa accade per gli altri membri dell’equipaggio. Conosciamo magari stralci delle loro vite sulla Terra ma sappiamo ben poco di chi sono adesso, davanti ai nostri occhi.

Grande uso dello spazio: la scenografia

In The Midnight Sky c’è quindi un uso molto criticabile del tempo del racconto e del ritmo. Lo stesso però non si può assolutamente dire dell’uso dello spazio. Il film dà il suo meglio nella spettacolare scenografia, sostenuta sia dalla fotografia che dal reparto VFX.

La navicella spaziale in The Midnight Sky - Credits: Netflix
La navicella spaziale in The Midnight Sky – Credits: Netflix

Le scene in Islanda, realizzate con luce naturale nel bianco accecante del Circolo Polare Artico, lasciano senza parole, come solo la Natura sublime può fare. Persino la Base in cui vediamo per la prima volta il Dott. Lofthouse si inserisce in quella natura, assorbendone il rigore nordico. Molti bianchi, linee pulite: tutto risalta nel suo design ultramoderno, dall’enorme mensa vuota alla piccola scacchiera su un tavolo. La vera fantasia esplode, tuttavia, nella realizzazione dell’astronave. L’intera sequenza di presentazione dell’equipaggio non è che una presentazione dei suoi spazi, interni ed esterni. Così diversi da quelli “piatti” e statici delle nostre case da aver bisogno di esplorarli insieme alla macchina da presa.

Da questo punto di vista The Midnight Sky è senza dubbio un piacere assoluto. Contemplativo, intimo e inaspettato. Oserei dire che è il motivo per cui lo consiglio realmente.

Continua a seguire FRAMED anche su Facebook e Instagram!