Cinque anni dopo Suicide Squad, il soft reboot di James Gunn riesce dove il suo predecessore aveva fallito: farci appassionare alle avventure di un gruppo di reietti metaumani.

La trama

L’agente governativa Amanda Waller (Viola Davis) mette assieme un gruppo di supercriminali detenuti nella prigione di Belle Reve per una missione sull’isola di Corto Maltese. Il gruppo, denominato Task Force X, è composto tra gli altri da Harley Quinn (Margot Robbie), Bloodsport (Idris Elba), Peacemaker (John Cena), Rick Flag (Joel Kinnaman), Nanaue, Ratcatcher 2 (Daniela Melchior), Polka-Dot Man (David Dastmalchian). Se la missione va a buon fine i superstiti avranno uno sconto sulla pena; in alternativa c’è la morte, che arriva o per mano dei nemici – e degli stessi membri della task force – o per mano di Waller, che punisce la diserzione con la morte istantanea attraverso un dispositivo impiantato alla base del cervello di ognuno. La Task Force X dovrà distruggere la fortezza di Jotunheim, prigione/laboratorio fondata dai nazisti e mantenuta attiva per gli oppositori del governo locale. Nel corso della missione si scontreranno anche con Starro, stella marina gigante aliena.

La riscrittura

The Suicide Squad non è tanto un sequel del film del 2016, quanto un reboot ibrido che mantiene parte dei personaggi e sviluppa una trama non in conflitto con gli altri film della serie (che comprende anche lo spin-off Harley Quinn: Birds of Prey). Nelle parole del regista e sceneggiatore James Gunn The Suicide Squad è “la versione coi supereroi di Quella sporca dozzina“, ovvero un film di guerra dove l’esito della missione non è determinato solo dalla sua difficoltà effettiva, ma anche dall’imprevedibilità delle interazioni tra i protagonisti – assassini, psicopatici e fanatici più interessati a perseguire il proprio tornaconto che alti ideali. Questo canovaccio si sposa bene con una caratterizzazione dei personaggi che gioca sull’ambiguità delle loro intenzioni e sulla loro improbabile etica antieroica.

L’operazione che Gunn fa sul materiale narrativo di Suicide Squad 2016 è duplice: da una parte ne riprende i personaggi migliori (Amanda Waller e Harley Quinn su tutti), dall’altra asciuga e rende più concreta una trama confusionaria, eliminando gran parte del background, delle motivazioni e della smania di rivalsa – più parlata che agita – che animava la vecchia squadra. Sono metaumani criminali e difettosi, ulteriormente destrutturati da lunghi soggiorni nel carcere più violento del mondo. Sarebbero davvero in grado di analizzare le proprie motivazioni e cercare un riscatto senza scadere nell’implausibile? E noi che andiamo a vedere The Suicide Squad vogliamo davvero una parabola motivazionale sotto mentite spoglie?

La comicità

Uno degli aspetti più interessanti del film è il trattamento comico riservato ai membri della task force, che oscillano tutti tra il letale e il ridicolo. Harley Quinn mette assieme ingenuità imbambolata e guizzi iperviolenti, Nanaue/King Shark è fortissimo ma incredibilmente ottuso, Bloodsport e Peacemaker entrano in competizione sull’unicità delle proprie doti da assassini (“il mio proiettile entra nel buco lasciato dal tuo senza toccarne i bordi”), le allucinazioni di Polka-Dot Man rientrano a buon diritto tra i momenti più divertenti.

una scena dal film "The Suicide Squad"
Copyright: © 2021 Warner Bros. Entertainment Inc. All Rights Reserved. Photo Credit: Warner Bros. Pictures/™ & © DC Comics

La prima mezz’ora alterna azioni omicide spettacolari e momenti di perplessità comica innescati dalla disfunzionalità umana della squadra. La sensazione è di trovarsi durante la seduta di un gruppo di autoaiuto, ma nella foresta latinoamericana e con un sacco di proiettili vaganti da schivare. Spesso sequenze d’azione serrate terminano in situazioni comiche, e se il cambio di tono non è fastidioso è solo perché (di solito) fanno ridere davvero. E non ridere nel senso di emettere sbuffi animaleschi a commento del sarcasmo di bassa lega del maschio alfa di turno. Ridere nel senso di provare quella liberazione istantanea e fugace che deriva dal rovesciamento inaspettato del prevedibile.

L’azione

Il ritmo cambia decisamente nella seconda parte. Dall’ingresso a Jotunheim la tensione cresce, e così fanno i conflitti interni. Da qui in poi l’umorismo insistito arretra e lascia spazio all’azione. Le redini dell’entertainment vengono cedute a una regia inventiva e convolgente, prodiga di dettagli descrittivi (dis)gustosi. Il tempo si contrae e si espande secondo una logica spettacolare incalzante che non perde un colpo, e si mantiene sostanzialmente intatta anche durante il terzo blocco narrativo.

In un film che mostra un notevole equilibrio tra terrificante e risibile, l’ingresso in scena di Starro il Conquistatore ne è il degno compimento. È un kaiju variopinto e per niente minaccioso, se si escludono le sue dimensioni. Eppure il passaggio da confusione a panico apocalittico è liscio come l’olio, e si sviluppa su un set grande quanto tre campi di football.

In definitiva The Suicide Squad è un film godibile. Merito di una riscrittura intelligente che ha saputo esaltare la bizzarria dei personaggi senza aspettative supereroiche indebite.

Al cinema a partire dal 5 agosto.

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