Ultimamente su Facebook è comparso un simpatico meme, che fa riferimento all’attesissimo Spider-Man: No Way Home. L’immagine mostra il classico cagnolino palestrato, che tanto fa ridere il popolo dei social, con la scritta “expectation”. Di fianco, abbiamo un cagnolino che è una vera e propria montagna di muscoli, da fare invidia a The Rock, accompagnato dalla scritta “reality”. Tutto questo per sottolineare simpaticamente quanto il film sia andato ben oltre le più rosee aspettative. Ecco, un discorso similare si potrebbe fare per la seconda stagione di The Witcher.
Già per come si era conclusa la prima stagione [SPOILER ALERT], era chiaro che la seconda sarebbe stata qualcosa di sbalorditivo. Durante la battaglia di Sodden, in cui hanno sacrificato la propria vita diverse streghe e maghi, Yennefer ha fatto esplodere il caos dentro di sé, generando una tempesta infuocata che ha ucciso gran parte dell’esercito di Nielfgaard. Geralt, alla sua disperata ricerca, si imbatte nella Bambina Sorpresa, Ciri, ugualmente guidata verso di lui da una visione. Come a indicare che il Destino è la forza più potente che esista nell’Universo.
Il legame tra Geralt e Ciri, oltre il tempo e lo spazio
La prima stagione era volta a mostrare come, nonostante la guerra, lo scorrere del tempo e le ingerenze umane, ciò che il Destino ha unito, non può essere diviso. I fan hanno atteso a lungo di vedere come si sarebbe evoluto il rapporto fra Ciri e Geralt, riconosciuto dai fan di più vecchia data come quello fra un padre e la figlia. E difficilmente qualcuno è rimasto deluso.
Il primo episodio della seconda stagione, infatti, è quasi interamente dedicato al rapporto che si è creato fra il Witcher e la principessa di Cintra. I due sono nella foresta, poco dopo il loro primo incontro. Durante il cammino, si imbattono nel castello di un amico di vecchissima data di Geralt, Nivellen. L’uomo, però, è stato maledetto e tramutato in bestia. A nulla valgono i suoi tentativi di togliergli la vita, perché la sofferenza è eterna. In questo splendido episodio abbiamo la possibilità di ascoltare degli spaccati del passato del Witcher, che fanno comprendere, ancora di più, quanto sia un uomo buono e retto.
Geralt: retto e coerente ma mai bidimensionale
Non è facile creare un personaggio così assurdamente coerente e così umano al tempo stesso. Il rischio di un individuo completamente buono è quello di risultare noioso, poco caratterizzato. Ma non è questo il caso del nostro Witcher. Perché, per quanto l’uomo abbia una sensibilità senza pari e una grande attenzione alle necessità altrui, ha anche molta difficoltà ad esprimere i suoi sentimenti. Nel corso di questa stagione, è evidente che i Witcher non sono creature prive di sentimenti, bensì individui che scelgono di reprimere, per evitare di soffrire. E francamente non è possibile biasimarli. Sono bambini che sono stati strappati dalle loro famiglie, che sono stati privati dell’affetto e, più in generale, delle gioie dell’infanzia.
Sono stati geneticamente modificati grazie a un siero che, nel peggiore dei casi, porta a una morte lenta accompagnata da sofferenza atroci. Una volta diventati adulti, dopo una serie di allenamenti durissimi, vengono mandati in giro per il mondo a combattere mostri in cambio di denaro. Fra l’altro disprezzati da tutti malgrado il loro aiuto prezioso, perché visti alla stregua di mercenari. La vita del Witcher non è semplice. Figuriamoci come si può sentire Geralt, con la responsabilità di un’altra vita che gli grava sulle spalle. E non solo: è anche convinto di aver perso Yennefer, l’unica donna che abbia mai amato. Perché in tutto ciò, dopo la battaglia di Sodden, la maga sembra essere svanita nel nulla.
Tornando però al primo episodio, si tratta dell’unico che potrebbe essere definito autoconclusivo. Si può considerare un mediometraggio a tutti gli effetti, intelligentemente creato per reintrodurre lo spettatore nell’atmosfera di The Witcher, senza però calarlo immediatamente nella narrazione principale. Come se volesse riabituarlo per gradi, insomma. E in effetti, la puntata A Grain of Truth, è un ottimo modo per creare soluzione di continuità con la prima stagione. Per poi distaccarsene completamente.
Differenze con la prima stagione – SPOILER ALERT #2
La prima stagione, essendo introduttiva dei personaggi principali, presentava tre storyline differenti, ambientate in periodi differenti, per poi intrecciare i destini dei tre protagonisti (Yennefer, Ciri e Geralt) nell’episodio finale. La narrazione dedicata a Geralt, inoltre, aveva la struttura del romanzo picaresco, dal momento che in ogni episodio venivano raccontate le sue imprese, con l’immancabile Ranuncolo pronto a cantarle.
La seconda stagione di The Witcher, invece, cambia struttura. Le linee narrative sono in pari, perché le vicende si svolgono in contemporanea. Da una parte abbiamo Geralt che porta Ciri alla fortezza dei Witcher, Kaern Mohern. Qui, Ciri ha la possibilità di allenarsi per imparare a difendersi e cercare di prendere man mano coscienza dei suoi straordinari poteri. Finalmente abbiamo a che fare con un personaggio a tutto tondo, una ragazza che sta crescendo e deve scoprire sé stessa. Ciri non è più l’oggetto magico delle fiabe, una bimba sperduta in un mondo che vuole fagocitarla, ma una giovane donna che vuole imparare a difendersi e a conoscersi.
Dall’altra parte, abbiamo un altro grande percorso di scoperta di sé: Yennefer, scampata per miracolo alle disastrose conseguenze della battaglia di Sodden, viene catturata dai cavalieri di Nielfgaard. E qui rivede la sua rivale, Fringilla, con la quale sarà costretta a condividere un viaggio di scoperta.
Perché in effetti questa seconda stagione è all’insegna della scoperta. Di sé stessi, del mondo, dei propri sentimenti. Yennefer, nonostante anni e anni di vita, deve ancora capire chi è, che tipo di persona è senza i suoi poteri. Perché il suo problema è sempre stato quello di identificarsi solo con la sua magia, di sentirsi onnipotente e irraggiungibile. Ma cosa accadrebbe, se si ritrovasse di colpo priva della sua essenza vitale? Come sarebbe, senza la sua preziosa magia? Ed è esattamente ciò che scopriamo in questa stagione di The Witcher.
Ciri, dal canto suo, deve capire tutto, di sé e del mondo. Vissuta nella bambagia, viziata dalla nonna, la regina Calanthe e tenuta all’oscuro della sua vera natura, non sa nulla della sua vita. E una volta presa coscienza del suo immenso potere, tanto forte, quanto distruttivo, ecco che in lei si affaccia la paura più grande. Quella di fare del male agli altri.
Il dramma di Ciri è quello di essere potenzialmente pericolosa, una fonte di distruzione impossibile da frenare. Non riesce a comprendere anche i suoi pregi, non vede quanto è straordinaria. E a questo, per fortuna, ci pensa Geralt. Per quanto rifiuti all’inizio questo ruolo, il Witcher è davvero come un padre per lei, quello che non ha mai avuto. E, proprio come un padre, non solo la protegge (o almeno ci prova) da ogni male, ma cerca di farle capire quanto sia una creatura meravigliosa e speciale.
L’evoluzione – anche emotiva – del maschile
L’evoluzione dei personaggi non riguarda solo le due donne, ma anche Geralt. L’uomo è costretto ad ammettere a sé stesso di avere delle emozioni. Cosa che prima aveva sempre cercato di ignorare. Ma ormai non può più farlo. L’affetto che prova per Ciri, l’amore verso Yennefer, sono cose che non possono essere represse. E per la prima volta nella sua vita, il Witcher se ne rende conto. Un uomo che ha sempre avuto avventure amorose passeggere, che credeva che il cameratismo fosse l’unica forma di legame possibile, in realtà è fragile e umano, come tutti noi. La creatura forte e sfuggente della prima stagione non esiste più. Tant’è che Geralt combatte molto poco, in questa stagione. Perché ciò che conta di più è la sua umanità.
L’essenza di questa seconda stagione non è altro che questo: non conta la forza, l’abilità in battaglia, i poteri, la magia. Ciò che definisce un individuo come essere umano è la sua capacità di amare.
Continua a seguire FRAMED anche su Facebook, Instagram e Telegram per altre recensioni.