Tommaso Basili in Martin Scorsese Presents: The Saints
Tommaso Basili in Martin Scorsese Presents: The Saints. Courtesy of Fox Nation

La regola social della smartphone face non vale per Tommaso Basili, volto senza tempo, che per questo funziona benissimo nelle produzioni in costume, che si tratti di un passato recente come 1993, del Rinascimento de’I Medici o dell’impero romano di Diocleziano. Dal 17 novembre, infatti, è uno dei volti della nuova docu-serie Martin Scorsese’s Presents: The Saints, in onda su Fox Nation negli Stati Uniti.

The Saints è «coprodotta, presentata e narrata da Scorsese. Non è il regista principale, ma ne è l’ideatore (la prima volta che penso a questo progetto fu negli anni Ottanta con l’intenzione di proporlo alla Rai, ndr). Non era sempre presente sul set, ma supervisionava da remoto e controllava il girato di fine giornata, dando poi indicazioni per la giornata successiva. La prima cosa che colpisce di lui è la sua straordinaria visione, d’insieme e dei dettagli».

Diocleziano in The Saints

Si tratta di un docudrama su quattro personaggi diversi: «Io sono nella storia di San Sebastiano e interpreto Diocleziano, grande persecutore dei cristiani, l’antagonista». Un archetipo complesso, quello contro l’eroe, che ogni interprete prima o poi affronta nella sua carriera: «Sto ancora cercando, come attore e come persona, di capire come mai sia così affascinato dalle figure antagoniste», afferma. «Mi sento in realtà l’opposto di ciò che possono essere alcuni di questi personaggi. Sono una persona accomodante, sensibile, diplomatica, però a livello attoriale è sicuramente più interessante esplorare qualcosa diverso da sé, anche se non sempre è una strada percorribile e non è detto che riesca bene».

Ci vuole metodo, studio e cura per sperimentare i panni di qualcun altro. E ogni attore, in fondo, lo fa a modo suo. «Ho cominciato questo percorso di vita, come lo chiamo io, più che un lavoro, abbastanza tardi. Non ho potuto frequentare un’accademia tradizionale, però mi sono imposto quattro o cinque anni di studio prima di tentare veramente questa carriera», prosegue Tommaso Basili.

«Mi sono formato a Milano, al Micheal Rodgers Acting Studio, gestito da Michael stesso, un fantastico coach e attore di origine scozzese. È una scuola che ha molto a che fare con quella di Stella Adler, che è poi l’accademia vera e propria dove ho studiato a New York, seguendo quindi sempre due metodi simili. La cosa curiosa è che mi sono formato come attore teatrale, anche perché secondo me le basi della recitazione si apprendono lì, ma poi in realtà teatro non ne ho mai fatto. E ho un po’ questo complesso, ancora, perché credo che sul palco un attore diventi completo. Il teatro dà tanto».

Recitare è giocare

Tra l’esperienza negli Stati Uniti e quella in Italia, tuttavia, c’è una differenza concreta, innegabile, prosegue Tommaso Basili: «Negli Stati Uniti c’è più sperimentazione, c’è più esperienza del gioco (come suggerisce anche lo stesso verbo usato in inglese, to play, per giocare e recitare, ndr) come strumento di apprendimento e un certo tipo diverso di leggerezza, che per me ha funzionato. Fermo restando che non esistono metodi universali, perché il mondo del lavoro è poi sempre diverso, il vero lavoro dell’attore è molto individuale, molto personale, per arrivare a capire come funzioni tu e come poter arrivare a certe cose per il personaggio. A volte non si riesce nemmeno a descrivere il proprio processo, e voler dare per forza un nome e un cognome al proprio metodo spesso è ingenuo. Alla fine, basta che funzioni».

Foto di Alessandra Trucillo. Courtesy of Tommaso Basili
Foto di Alessandra Trucillo. Courtesy of Tommaso Basili

Ogni volta è sempre diverso prosegue, infatti, Tommaso Basili a proposito della recitazione: «Ogni volta è un ripartire da meno di zero, da sottozero. Si parte anche da un grande senso di inadeguatezza, dal chiedersi come poter riuscire ad arrivare a un risultato efficace e credibile».

Un esempio? Il suo Gianni Agnelli in Ferrari di Michael Mann. «Gianni Agnelli era iconico. Lo era in tutto ciò che faceva, in ciò che diceva, per come si muoveva. Non solo lo ricordiamo bene, ma abbiamo mille fonti fruibili su di lui. Conosco i miei limiti e ho dovuto fare una scelta iniziale per il provino. Mi sono chiesto: Voglio copiarlo o rappresentarlo? Non sono uno di quegli attori come Pierfrancesco Favino o Rami Malek, capaci di replicare una copia perfetta dei personaggi. Ho capito che avrei dovuto fare una mia rappresentazione di Agnelli, allora ho iniziato a cercare tratti in comune e focalizzarmi sulle similitudini. Alla fine l’anello di congiunzione è stato il modo in cui l’Avvocato, uomo del Novecento, mi ricordava mio padre. Al provino è piaciuto e ho continuato su questa strada».

Il futuro per Tommaso Basili

Una volta trovato il proprio metodo, non cambia sul set né per la Rai, né per il cinema hollywoodiano né per le piattaforme, prosegue Tommaso Basili, che presto tornerà su Netflix per la commedia romantica americana (ma ambientata in Italia) La dolce villa. «Al più potrebbe cambiare il modo di lavorare in base alla scrittura e alla tipologia di progetto». Si prenda la commedia come genere, ad esempio, La dolce villa, stessa: «In una commedia italiana è il singolo attore a dover risultare divertente, mentre magari in una anglosassone, come quest’ultima che ho fatto per Netflix, come interprete puoi essere anche assolutamente asciutto, ma sono le circostanze a dover rendere tutto più comico o più buffo».

E se inoltre la commedia è, soprattutto in Italia, il genere con cui molti attori e molti registi esordienti provano a fare il grande salto dietro la macchina da presa, non c’è ancora questo progetto nel futuro immediato di Tommaso Basili. «Credo però che in ogni attore ci sia un regista latente, anche se chiaramente non tutti poi sono in grado di diventarlo. Come attori anche noi raccontiamo storie ed è inevitabile che prima o poi nasca il desiderio di farlo in modo diverso. Piacerebbe anche a me farlo, ma mi sento ancora molto lontano da quel punto. Mi ci vuole ancora molto esperienza rispetto ai registi, agli sceneggiatori e ai produttori di cui ammiro e rispetto molto l’enorme lavoro».

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