Il nuovo album dei Foo Fighters. Aspettavamo l’ufficialità, ed è arrivata. Aspettavamo il primo singolo ed è arrivato. Ora aspettiamo soltanto la data di uscita.

Ma nel frattempo, dopo i vari indizi sparsi sui canali social (di cui Framed vi ha parlato la settimana scorsa) ecco le prime dichiarazioni di Dave Grohl. E sembra già di percepire la musica.

Il decimo album in studio dei Foo Fighters s’intitola Medicine at Midnight. Ed è veramente una medicina, in questo momento cosi difficile, una medicina fondamentale.

Perché la pandemia ha bloccato il 2020 musicale, durante il quale i Foo Fighters avevano in programma un tour mondiale per festeggiare i loro 25 anni di carriera. E, magari, sorprendere i fan proprio con il nuovo album.

Ma il tempo si è fermato. E la band ha cambiato i suoi programmi.

Per questo, gli indizi misteriosi hanno subito avuto una spiegazione: lo scorso 7 Novembre ha presentato il nuovo singolo al Saturday Night Live, “Shame shame“.

Le parole di Dave Grohl

In un’intervista rilasciata alla rivista Kerrang, Dave Grohl rivela proprio quanto questo tempo pandemico di lockdown abbia giocato contro ogni progetto dei Foo Fighters:

“Abbiamo completato il lavoro a febbraio, eravamo pronti a metterci in viaggio, l’artwork era stato fatto, i dischi erano stati prodotti… non vedevamo l’ora che arrivasse quest’anno e invece poi abbiamo dovuto prenderci una pausa e ciascuno di noi è andato per la propria strada”.

Una decisione forzata e inedita per una band che dalla sua nascita non si è fermata mai un attimo, tra tour e lavoro in studio. Sei mesi di pausa assoluta dopo venticinque anni insieme.

Proprio per questo il momento della riunione è stato qualcosa di epocale, indimenticabile, come racconta lo stesso Dave Grohl:

“Così ci siamo riuniti e abbiamo escogitato un nuovo piano. Abbiamo dovuto riorganizzare ogni cosa e adattarla a ciò che sta accadendo adesso. Ci siamo rivisti tutti quanti circa due mesi fa e solo ritrovarci di nuovo nella stessa stanza tutti insieme, per noi è stato come sentirci a casa”.

Ma se una band è affiatata, basta davvero poco per ritrovare la sintonia. Basta solo riprendere in mano gli strumenti dentro la stessa stanza per i Foo Fighters.

Infatti, dopo la distanza, lo stress e la spasmodica voglia di ritornare, Dave Grohl adesso ne può ridere:

“Li sento più vicini a me di tante altre persone nella mia vita. Riprendere in mano gli strumenti e ricominciare a suonare queste canzoni che abbiamo registrato un anno fa ci ha fatto sentire così dannatamente bene, ci è sembrato di essere di nuovo una band!”.

La copertina del nuovo album – Credits: web

“Un disco fottutamente potente”

D’altronde, sei mesi di distanza diventano niente se hai sulle spalle 25 anni di carriera insieme.

E lo sono ancora meno se hai un disco già finito in mano e non vedi lora di suonarlo. Anche se, per adesso, non lo potranno fare sopra un palco.

“Tornare in sala circa sette mesi dopo e poter finalmente suonare queste canzoni come una band, non solo ci ha fatto sentire davvero bene, ma è stato anche facile. Questo è uno dei dischi più semplici da suonare. Ci sono altri dischi nei quali abbiamo inserito cose un po’ più elaborate a livello tecnico, questo album invece è composto solo da riff di chitarra potenti, ritmi fottutamente potenti e ritornelli fottutamente potenti!”.

In effetti, come spesso accade a una band come i Foo Fighters, all’interno della composizione stessa di un pezzo c’è già il live, come se cercandolo, tra gli strumenti e la voce, si sentisse il grido del pubblico.

“Mentre componevamo questi pezzi io ho pensato ‘Oh mio Dio, questo brano sarebbe perfetto per un festival’, oppure ‘Questo sarebbe perfetto in uno stadio’. Ho davvero tenuto in considerazione la resa di questi brani dal vivo, ho creato questi ritornelli che sembrano inni e ho immaginato 100mila persone che li cantano insieme a noi”.

Purtroppo, questo non accadrà nell’immediato futuro. Ma siamo sicuri: questa attesa lo renderà ancora più bello.

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Alessio Tommasoli
Chiamatemi pure trentenne, giovane adulto, o millennial, se preferite. L'importante è che mi consideriate parte di una generazione di irriverenti, che dopo gli Oasis ha scoperto i Radiohead, di pigri, che dopo il Grande Lebowsky ha amato Non è un paese per vecchi. Ritenetemi pure parte di quella generazione che ha toccato per la prima volta la musica con gli 883, ma sappiate che ha anche pianto la morte di Battisti, De André, Gaber, Daniele, Dalla. Una generazione di irresponsabili e disillusi, cui è stato insegnato a sognare e che ha dovuto imparare da sé a sopportare il dolore dei sogni spezzati. Una generazione che, tuttavia, non può arrendersi, perché ancora non ha nulla, se non la forza più grande: saper ridere, di se stessa e del mondo assurdo in cui è gettata. Consideratemi un filosofo - nel senso prosaico del termine, dottore di ricerca e professore – che, immerso in questa generazione, cerca da sempre la via pratica del filosofare per prolungare ostinatamente quella risata, e non ha trovato di meglio che il cinema, la musica, l'arte per farlo. Forse perché, in realtà, non esiste niente, davvero niente  di meglio.

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