Transamerica - Credits:Web
Transamerica - Credits: web

Transamerica è un film del 2005 diretto da Duncan Tucker. La pellicola tratta della donna MtF Sabrina “Bree” Osbourne che scopre di avere un figlio di nome Toby, concepito prima della sua transizione, e del viaggio che sarà occasione per i due di conoscersi. Il film è stato presentato alla Berlinale nel Febbraio 2005. Per il ruolo di Bree Osbourne, Felicity Huffman è stata nominata all’Oscar come Miglior Attrice e ha ottenuto il Golden Globe come Miglior Attrice in un ruolo drammatico. Il tema portante è quello di genitorialità che riguarda Bree sia nei panni di figlia, nei rapporti complicati con la sua famiglia, e nei panni di madre di Toby. Tuttavia un’altra chiave di lettura, che mi ha fortemente colpito, è quella che analizza il tema della transfobia interiorizzata di Bree. Molte scene nell’opera sostengono questa analisi

La rimozione totale della sua vita prima della transizione

Bree ha un ottimo rapporto con la sua psicoterapeuta, che considera la sua più cara amica. Durante le sedute tende a usare il suo dead name Stanley parlando in terza persona, come se si riferisse a una persona estranea. Anche quando riceve la chiamata da Toby, che chiede conferma del recapito del padre, Bree risponde “Stanley non abita più qui”. Questa battuta è esemplificativa del tentativo di completa rimozione del passato in cui viveva in un corpo di uomo. L’operazione di vaginoplastica è così importante per Bree perché costituisce l’ultimo passo per essere una donna “perfetta” e non portare più sul suo corpo tracce dell’errore di esser nata nel corpo maschile.

Bree parla al telefono con la sua psicologa – Credits: Web

La vita di Bree tra stealth e passing

Il termine passing (passare) è un termine molto diffuso all’interno della comunità trans, significa riuscire a passare per una persona cisgender. Essere stealth (riservatezza) invece significa non dichiarare la propria condizione di persona transgender. I due concetti sono molto legati tra loro in quanto se si riesce a “passare” bene si riesce a tacere la propria condizione. Bree ci tiene molto a riuscire a passare come donna cis, tramite una cura quasi ossessiva del proprio aspetto e una serie di operazioni di chirurgia estetica alla mascella, al pomo d’Adamo e alla fronte. Questo perché per lei la riservatezza sulla propria condizione di donna trans deve essere mantenuta ad ogni costo per preservare la sua serenità e il suo equilibrio psicologico.

Bree non svela a Toby di essere trans, lui lo scoprirà per caso. Quanto questo aspetto sia importante per Bree emerge in una scena ambientata in un ristorante: una bambina guarda fissa Bree e le chiede “Sei un uomo o una donna?”. Dopo questo commento Bree telefona alla sua terapista in preda alla disperazione per essere stata “scoperta”.

Toby e il gruppo di donne trans - Credits: web
Toby e il gruppo di donne trans – Credits: web

Il gruppo di donne trans

Per esigenze economiche Bree e Toby si fermano da un’amica della terapeuta di Bree, persona che però quest’ultima non conosce. Al loro arrivo in quella casa c’è una festa che coinvolge persone gay ma soprattutto donne trans dichiarate e perfettamente a loro agio nella propria condizione, Bree fa una battuta molto sagace sul fatto che quelle donne trans, così fiere della loro condizione, sono in realtà “imperfette”. Si percepisce il suo disagio di fronte a una dimensione di accettazione della propria condizione che Bree non vive in nessun modo.

In chiusura del film, quando la sorella dà a Bree un boa rosa lei le dice “non sono un travestito, sono una transessuale”. È la battuta che mostra il compimento di un viaggio verso l’accettazione di sé grazie all’esperienza dell’incontro con Toby. Quindi il viaggio nell’entroterra americano di Transamerica diventa un viaggio introspettivo alla scoperta di sé.

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Chiara Caputi
Nata sotto il segno dei Gemelli il che significa che in me convivono tutto e il contrario di tutto: la letteratura (dalla medievale alle contemporanea), il cinema, il teatro, le serie tv, i fumetti, l'opera, le arti visive e i programmi trash del palinsesto di Real Time. Scrivo di tutto perché «homo sum, humani nihil a me alieno puto»; con un approccio intersezionale e di genere perché credo che le prospettive di tutti e tutte hanno un valore, anche se non ci riguardano personalmente. Il curriculum vitae dice che faccio il dottorato in America, ma non è niente di serio.

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