Un figlio (Bik Eneich - Un Fils) - Di Mehdi Barsaoui
Un figlio (Bik Eneich - Un Fils) - Di Mehdi Barsaoui

Diretto e scritto da Mehdi M. Barsaoui, Un figlio (2019) è il racconto di un dramma familiare che diviene specchio del dramma di un’intera nazione, la Tunisia.

Una storia che viaggia a ritmo spedito, ambientata durante la Rivoluzione popolare in Tunisia del 2010-2011. Non esiste momento per pensare. Quello che accade sullo schermo è già destinato a dover essere accettato, senza possibilità alcuna di poter passare attraverso la riflessione. Non c’è scampo per Fares (Sami Bouajila) e Meriem (Najla ben Abdallah) coppia tunisina moderna ed abbiente, protagonista del film. Una corsa contro il tempo e contro la tragedia. Un gioco di scatole cinesi, in cui la sofferenza emerge da altra sofferenza ed il dolore da altro dolore.

La trama – Spoiler alert

L’inizio è comune a tanti altri, una madre, un padre ed un figlio, che in una giornata di sole, decidono di trascorrere una gita fuori porta con amici. Durante il viaggio di ritorno verso casa il piccolo Aziz (Youssef Khemiri) si diverte sul sedile posteriore dell’auto a cantare per l’ennesima volta la sua canzone preferita, quando ad un tratto le sorti dell’intera famiglia, sono destinate a cambiare drasticamente a causa di un attacco terroristico che li vedrà coinvolti. Il riso si tramuta in pianto e la calma in tempesta. Nulla sarà più come prima. La tragicità della narrazione colpisce in modo raggelante i coniugi, proprio con la stessa crudeltà del proiettile che colpisce la pancia del loro figlio.

Gira tutto intorno al climax di angoscia che oscilla tra la vita e la morte, aggravato dalle molteplici avversità di una società arcaica, che ostacolano ferocemente la famiglia tunisina.

Quale sarà il destino di queste tre anime? Il legame familiare che le unisce, presto sarà destinato a sgretolarsi.

Sarà un evento infausto a far emergere segreti inconfessabili che si insinueranno nei meandri delle vicissitudini familiari.

La difficile realtà tra leggi arcaiche e patriarcali

Ad infittire l’intreccio di questo dramma vi è il contesto socio-culturale della Tunisia. Una Nazione che nonostante innumerevoli sforzi, al giorno d’oggi, fatica ancora ad emanciparsi. Una dimensione rimasta aggrappata a leggi patriarcali, arcaiche, inadeguate ed impensabili in una società del XXI secolo.

Una forma innaturale di civiltà, dove non è la Legge ad adeguarsi all’uso e costume, ma sono necessariamente gli uomini a doversi adattare ad essa.

Un Paese dove la moglie che tradisce il proprio marito è sottoposta legittimamente a condanna certa ed un trapianto d’organi risulta essere difficile, se non impossibile, perché inquadrato come un gesto poco rispettoso e rispettabile secondo un credo religioso fortemente radicato.

Sono vani i tentativi di uscire da uno schema rigido e soffocante, costituito da imposizioni categoriche ed anacronistiche, legate al suolo e alle radici di quella Terra.

Chi è un padre?

I temi affrontati dal regista tunisino sono forti ed universali: la legislazione obsoleta, l’immagine della donna subordinata alla società patriarcale, il trapianto di organi ed il mercato nero che ne discende. Ma tra tutti, si palesa una delle tematiche più delicate in assoluto, la paternità. Chi è davvero un padre?

Qual è la condizione necessaria per determinare la filiazione e la “patria potestas”? In alcuni casi un esame diagnostico non basta, non è sufficiente per giustificare l’amore viscerale che lega ad un figlio, soprattutto quando lo si sta per perdere per sempre.

Il titolo del lungometraggio è l’emblema del “tutto”, della famiglia, dell’amore, della paura. Un figlio è quella figura, quella forza di attrazione, in grado di inglobare entrambe le figure genitoriali. È tutto ciò che può creare e distruggere gli equilibri all’interno di una coppia. Ogni cosa dipende da lui, dall’energia e dalla passione che ci si mette per crescerlo e vederlo felice, e per il quale ci si sacrificherebbe a qualsiasi costo, anche dei propri valori e della propria dignità, esattamente come accadrà a Fares.

La fotografia rassicurante di Antonie Héberlé

Un figlio ha una scrittura potente, commovente che arriva dritta all’anima. L’intensa interpretazione degli attori protagonisti restituisce un dolore “calmo” e sincero senza mai trascendere nel melodrammatico. Un disagio profondo difficile da sopportare nei 96 minuti di ripresa, e che viene alleggerito grazie alla meravigliosa fotografia Antonie Héberlé capace di donare un respiro ed abbraccio rassicurante. Calda, silenziosa, soave e pacifica, in grado di contrastare un inferno terrificante.

In breve

Un figlio è uno di quei film che si insinua nella pelle e fatica a svanire. Riempie di sensazioni ed interrogativi che appaiono lontani, ma in realtà riguardano e toccano da vicino. Può considerarsi una parabola di cui avremmo bisogno tutti, per non dimenticare mai quanto la nostra libertà sia un dono dipeso esclusivamente dalla fortuna di essere nati nel posto giusto, senza più gravi impedimenti e limitazioni dei diritti.

Un figlio, di Mehdi M. Barsaoui, nelle sale italiane dal 21 Aprile 2022.

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Annamaria Martinisi
Sono il risultato di un incastro perfetto tra la razionalità della Legge e la creatività del cinema e la letteratura. La mia seconda vita è iniziata dopo aver visto, per la prima volta, “Vertigo” di Hitchcock e dopo aver letto “Le avventure di Tom Sawyer” di Mark Twain. Mi nutro di conoscenza, tramite una costante curiosità verso qualunque cosa ed il miglior modo per condividerla con gli altri è la scrittura, l’unico strumento grazie al quale mi sento sempre nel posto giusto al momento giusto.

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