Una terapia di gruppo – film diretto da Paolo Costella, prodotto da Paolo Sessa per Picomedia e al cinema con Warner Bros dal 21 novembre – è un racconto corale, conosciuto all’estero soprattutto nella versione francese e spagnola, che usa il sorriso per parlare del grande tema di oggi, la salute mentale.
Nello studio di psicoterapia del luminare dottor Stern, sei nuovi pazienti arrivano tutti allo stesso orario per un errore del sistema di prenotazione. Federico (Claudio Bisio) ha la sindrome di Tourette; Emilio (Claudio Santamaria) non riesce a smettere di contare qualsiasi cosa, soffre cioè di aritmomania; Otto (Leo Gassmann) soffre di FOMO, la paura di restare escluso e scollegato, anche da internet; Bianca (Valentina Lodovini) ha un’ossessione per la pulizia, mentre Annamaria (Margherita Buy) quella per il controllo; infine Lilli (Ludovica Francesconi) ripete tutto due volte alla ricerca di una simmetria perfetta, anche nei movimenti che fa.
Non potendo riprogrammare un appuntamento con facilità, tutti scelgono di restare in attesa dello specialista, come di uno strano Godot, insieme alla segretaria ficcanaso (Lucia Mascino). Nella sala d’aspetto nasce così, in realtà, una forma improvvisata di terapia di gruppo, fra pari, che riserva diverse sorprese.
Dal teatro al grande schermo
«Ci siamo ispirati quasi più alla commedia teatrale francese che non al film spagnolo (Toc Toc, ndr), aggiungendo anche alcune cose», afferma Claudio Bisio. Gli fa eco Lucia Mascino: «Abbiamo dato a Paolo Costella diverse possibilità di montaggio, senza sapere cosa sarebbe finito effettivamente nel film». C’è infatti un sostanziale cambiamento rispetto al finale originale, che però non sveleremo.
«L’impianto teatrale ci ha permesso di lavorare per gran parte del film in sequenza cronologica e questo ha permesso davvero di creare un gruppo», prosegue Bisio. «Alcune scene non c’erano nemmeno in sceneggiature, sono nate dal set. Insomma, ci siamo ritrovati a essere sei personaggi in cerca di psicanalista».
«Quando vai ad affrontare un film corale sei anche consapevole che il successo dipenderà molto anche dall’energia che si crea nel cast», aggiunge Valentina Lodovini. «Si oscilla tra l’apertura e la paura, ma quando sono entrata nel cast sapevo già che avrei lavorato con dei fuoriclasse e quindi sarebbe stato affascinante, prezioso. Effettivamente lo è stato, anche perché ogni giorno c’era una reciproca curiosità».
«Ringrazio molto Claudio – aggiunge – che mi ha aiutata a bilanciare il mio personaggio, Bianca, lavorando insieme a me». In Una terapia di gruppo, Lodovini infatti ha anche il ruolo più drammatico, pur restando all’interno della commedia. Un personaggio il cui disturbo ossessivo compulsivo deriva da un importante trauma: «Bianca mi ha toccato l’anima da subito, è un personaggio che come attrice mi richiedeva una certa responsabilità. Per me è stato interessante raccontare le sue ferite all’interno di una commedia. Farlo con il sorriso, se può servire a cicatrizzarle, portarle con sé con umorismo o ironia».
Ridere per combattere lo stigma della salute mentale
Come afferma il regista Paolo Costella, sul set ci sono state delle consulenze psicologiche e psichiatriche che hanno permesso soprattutto di curare alcuni dettagli del film. Un esempio è l’aritmomania di Emilio, a cui si associa spesso all’accumulo di oggetti creato in scenografia. Ogni interprete, inoltre, ha avuto la possibilità di confrontarsi con degli specialisti, in base al proprio metodo di lavoro.
«In maniera leggera», prosegue Lucia Mascino, «Una terapia di gruppo parla dello spostarsi da sé. Nel momento in cui vai davvero verso qualcun altro, relativizzi anche te stesso. Ed è una cosa che dà energia, soprattutto in un momento in cui sembra esserci un crescente bisogno di puntare il dito contro gli altri. Ciò che mi commuove di più del film, tuttavia, è il messaggio per cui il grande limite non è la malattia, ma la vergogna che ci si porta addosso, per la malattia, nel rapporto con altri. Per questo è importante parlarne».
«Penso che il messaggio di Una terapia di gruppo sia proprio questo», sembra idealmente proseguire il discorso Leo Gassmann. «Imparare anche a mostrarsi per quello che si è, trovare un modo per convivere con le proprie paure per sentirsi meno soli, rivedendosi anche negli altri. Per questo è molto importante parlare. Viviamo in un mondo in cui stiamo smettendo di parlare, di confrontarci in tutte le cose, dalle piccole a quelle grandi».
«Dire di stare male, di aver bisogno di aiuto sono cose che sembrano estremamente negative», prosegue Ludovica Francesconi, «ma non è così. Una terapia di gruppo è importante proprio per il senso della condivisione del proprio stare male, attraverso la commedia che aiuta a normalizzare».
Al cinema dal 21 novembre.