Venezia 81, i film che abbiamo visto il 28 agosto alla Mostra del Cinema di Venezia 2024
Nonostante di Valerio Mastandrea (Orizzonti Concorso)
Un amore nasce tra due “anime” sospese tra la vita e la non vita: il regista e protagonista di Nonostante, in concorso all’81ª edizione della mostra del cinema di Venezia, Valerio Mastandrea parla di scomparsa, di attesa, di morte. Per il suo secondo lungometraggio da regista, sceglie di raccontare la malattia attraverso il punto di vista di chi ancora vive: “spiriti” incorporei di uomini e donne bloccati in letti d’ospedale, visibili solamente a chi è nella stessa condizione, o a un fortunato dotato (Giorgio Montanini) di una sensibilità fuori dal comune.
I “fantasmi” a metà fanno esperienza di una vita alternativa e parallela, che scorre lenta mentre il loro corpo è immobile, dotato solo di pochi segni vitali. Il sovrannaturale di Mastandrea è quindi una metafora volutamente semplice e diretta del viaggio sulla terra, e di quelli extracorporei.
A muoverlo è un bisogno, un desiderio che affonda le radici nel personale, ma in Nonostante qualcosa stride: dove la regia (e il suo ruolo) funzionano, così come la colonna sonora (piaciona) composta da brani dei T rex e dei CCCP (ma anche Fiordaliso), un’ingenuità di fondo lascia che il film si limiti senza andare oltre, o convincere del tutto.
Nonostante metta in scena una metafora coraggiosa che ci riguarda tutti, lo fa con leggerezza, poesia, ma c’è qualcosa che non afferra totalmente chi guarda, portandolo infine a distaccarsi. Riprende il suo spettatore sul finale, elabora il concetto di morte e distacco, ma nel mezzo si perde, purtroppo, in parentesi banalmente romantiche.
Quiet Life di Alexandros Avranas (Orizzonti Concorso)
La visione spiazzante di Quiet Life, il nuovo film di Alexandros Avranas, ricorda il Lanthimos degli inizi, ma senza che questo oscuri una forte identità (emersa anche nelle sue opere precedenti).
Le inquadrature gelide e tagliate stringono i personaggi in un presente che appare distopico, ma che molto riporta del tempo di guerra e attacchi politici che non abbandona la nostra attualità.
La Sindrome della rassegnazione infantile raccontata da Avranas è una patologia complessa, che lui inserisce in un contesto contraddittorio e ovattato, quello di una Svezia contemporanea e respingente dove la famiglia di Sergei e Natalia prova a chiedere asilo dopo un’aggressione violenta subita nel loro paese natale.
L’identità del nucleo familiare spezza la ferocia visiva (e psicologica) di grigi opprimenti e falsa compostezza, e ritrova il “reale”: lì la fantasia perversa del disumano scompare per qualche istante.
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