Witches, MUBI
Witches, a film by Elizabeth Sankey. Courtesy of MUBI

Stregoneria e depressione post-partum: quale similitudine lega donne a cavallo di una scopa e adoratrici di Satana ad altre donne, da poco madri, affette da psicosi e spesso in difficoltà per mancanza di strumenti e aiuto da parte del mondo esterno? Sono prigioniere entrambe di una rappresentazione dominante che, nel tempo, ha agito con l’obiettivo di ridimensionarne il potere, minimizzarne la sofferenza, fino a farle scomparire come sabbia, tra un secolo di persecuzioni e uno di silenzio a proposito della salute mentale e della sua necessaria salvaguardia, soprattutto all’interno dell’esperienza della maternità.

Elizabeth Sankey, regista britannica e musicista (Boobs, Romantic Comedy), realizza con il suo nuovo film documentario, Witches, un’opera che esplora le dinamiche della depressione post-partum e delle psicosi che ne conseguono, ponendole in parallelo alla stregoneria, e in particolare alle streghe, nella società occidentale e nella cultura popolare. Tale retaggio si riflette in un immaginario di figure, film, dogmi, gabbie di pensiero.

Le stesse donne che venivano allontanate dalla società nel 1600 sono quelle che vengono rinchiuse in reparti psichiatrici senza la possibilità di capire cosa stia succedendo.

Essere una strega buona o una strega cattiva?

Sankey, attraverso la struttura del video essay, introduce e stratifica il suo Witches attingendo a tantissimi film e serie televisive, selezionando opere e prodotti le cui immagini ci hanno indirizzato negli anni alla definizione di strega buona e di strega cattiva.

Un flusso trascinante di frame e sequenze montati con notevole eleganza (e brillante ironia), restituisce il senso di flusso di coscienza e ricerca sociologica che la regista cerca di trasmettere con il suo racconto. Tra le opere citate ci sono molti horror degli anni ’60, ’70 e ’80, ma anche cult generazionali come The Craft e Ragazze Interrotte. I personaggi femminili che l’autrice prende come riferimenti riflettono solo in apparenza la divisione tra bene e male, incanalando invece un altro tipo di messaggio: quando una donna non risponde alle regole imposte dalla società, diventa outsider, weirdo, si trasforma di diritto nella Strega cattiva.

Per la regista era quasi una fissazione quando era bambina: essere come la malvagia Strega dell’Ovest, verde e arrabbiata, o come Glinda, la buona Strega del Nord, ricoperta di lustrini e pronta a sfoderare massime rassicuranti? Sceglieva costantemente la seconda, così simile a una madre amorevole, così poco minacciosa e benvoluta da tutti. Ma crescendo quella distinzione così netta inizia a diventare ridicola, se non soffocante, portandola a riconsiderare quanto le varie streghe dell’ovest avessero più che validi motivi per sentirsi inadeguate.

Fall into madness

La divisione in capitoli di Witches ricorda un manuale di incantesimi e sortilegi dalla copertina spessa e le pagine scure, come quello di Hocus Pocus o di Samantha in Vita da strega, ma rivela profonde assonanze tra passato e presente. La discesa nella pazzia, come la definisce la regista, è avvenuta in seguito alla nascita del figlio. Le emozioni che provava, come il terrore di non rivelarsi una buona madre o il rifiuto del contatto con il piccolo, accompagnato da una forma di amore così estrema da provocare dolore, si riversavano in una condizione psicologica colma di ombre, dalla quale non trovava una via d’uscita.

Il suo primo colloquio con un medico rivelò una forma di baby blues, nulla di preoccupante, qualcosa che sarebbe passato da solo. Ma quel qualcosa non è passato da solo, si è anzi aggravato, costringendo Elizabeth Sankey ad un periodo di cura nel reparto psichiatrico di un istituto specializzato, dove rimanere per varie settimane con il suo bambino.

Qui la donna inizia a evadere da quella sensazione di non rispettare un pattern prestabilito, e ad aiutarla nel percorso di autoconsapevolezza e guarigione sono le sue compagne di viaggio. Donne che, come lei, si sono trovate a fare i conti con depressione, ansia, disturbi e pensieri spesso così oscuri da spaventarle. La condivisione ristabilisce una sorta di congrega, quella che in qualche stagione di American Horror Story verrebbe definita coven. E allora il ponte che le lega al passato delle persecuzioni e dell’ignoranza radicata nei precetti e nelle punizioni è percorribile, concreto.

Esporsi per infrangere lo stigma

Elizabeth Sankey si espone in prima persona rivendicando la sua storia, cercando di raggiungere anche chi non conosce la malattia di cui parla. La raccolta di testimonianze porta un quadro diversificato e prezioso, dei disturbi e delle difficoltà che entrano nello spettro della depressione post-partum, un argomento ancora poco approfondito, legato allo stigma nei confronti delle donne che ne soffrono.

Ma non solo le voci del presente risuonano all’interno del documentario; la regista porta anche quelle delle streghe bruciate e giustiziate molti secoli prima, probabilmente vittime delle stesse fragilità. L’analogia che si crea è un dato devastante, che porta a riflettere su una percezione mai progredita, e ancorata alla primitiva distinzione di bene e male, buona madre e cattiva madre.

Witches scardina i pregiudizi, si addentra nel senso di finzione (la stessa regista si cala in ruoli ispirati alle streghe del suo immaginario) lasciando che dalla fitta rete di esperienze dirette e dai frame selezionate delle numerose opere d’intrattenimento arrivi il senso di emergenza di considerare la malattia senza stigmatizzarla.

Tali patologie colpiscono molte più donne di quelle che si potrebbe immaginare, ed è necessario agire in tempo, ma prima di tutto, destabilizzare una volta per tutte il pensiero dominante nei confronti della femminilità e della maternità. Non esistono streghe buone o streghe cattive, e Witches lo prende come un grande manifesto per iniziare a cambiare.

Witches, MUBI

Witches è stato presentato in anteprima mondiale al Tribeca Film Festival 2024, sarà presentato in anteprima nel Regno Unito al London Film Festival 2024 ed è in streaming esclusiva su MUBI a livello globale dal 22 novembre 2024.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.