Zerocalcare - credits: dolcevitaonline

Zerocalcare (nome d’arte per Michele Rech) è un autore molto prolifico e questo si sa, esce almeno un suo lavoro all’anno, perché per sua stessa ammissione sta sempre “tombato in casa a lavorà”. Quest’anno ha voluto strafare, facendo uscire ad ottobre 2020 Scheletri e un mese dopo A Babbo morto – Una storia di Natale.

L’uscita quasi speculare di due testi piuttosto diversi tra loro mi ha incuriosito e mi ha spinto a ragionare sulle loro similitudini e sulle loro differenze.

Considerando che per i fenomeni editoriali ben poco è lasciato al caso e che probabilmente qualche forzatura legata alle chiusure per il Covid c’è stata, queste due storie possono essere lette sotto la stessa prospettiva. Questa ci viene data dallo stesso autore nell’intervista L’ultimo intellettuale sull’Espresso del 22 Novembre 2020, a cui è stata dedicata persino la copertina del settimanale.

Un’intervista molto discussa sia da una fetta di pubblico che lo ha accusato di essersi venduto al mainstream, sia da un’altra fazione che lo riteneva indegno di tale riconoscimento pubblico, ma soprattutto da Zerocalcare stesso, che ha ribadito pubblicamente di essere imbarazzato dai toni altisonanti usati dal titolo e dalla fotografia scelta dalla testata, che non dipendono da lui. Alla domanda “Cosa ti interessa che venga capito?” Michele Rech ha risposto:

“Il racconto della complessità delle persone. Il fatto che le persone non sono monolitiche. (…) La complessità è il grande rimosso del nostro tempo.”

Cercherò quindi di indagare in quali forme si presenta il tema portante della complessità del reale in questi due ultimi lavori firmati dall’autore.

Scheletri: nulla è come appare

In Scheletri situazioni e personaggi hanno bisogno di una ulteriore controparte, che li contraddice rispetto all’apparenza, per essere realmente compresi. Il titolo stesso Scheletri è evocativo di qualcosa che è presente ma non visibile. Nell’espressione “scheletri nell’armadio” è addirittura qualcosa che viene celato o rimosso volutamente per i più svariati motivi. La storia narrata in questo volume è esattamente uno scheletro nell’armadio. Il personaggio Zerocalcare saluta sua madre per andare all’Università, ma all’università non mette piede da dopo il primo esame. Eppure, per paura di deludere sua madre e i suoi amici, decide di continuare a fingere di frequentare le lezioni e sostenere gli esami.

Scheletri, Zerocalcare - Credits: nerdevil.it
Scheletri, Zerocalcare – Credits: nerdevil.it

Sulla metropolitana conosce Arloc, un ragazzo che non va a scuola ma che è affamato di letture. Ha una sensibilità molto forte verso le ingiustizie, come dimostra la sua ribellione verso Paturnia, il delinquente di quartiere, ma riesce a declinarla solo in chiave violenta. Ha la freddezza di cavare un occhio con un coltello a uno sconosciuto per difendere un amico, ma non di superare i propri complessi di inferiorità per vivere una storia d’amore serena con Lena. Proprio questo amore finito sarà la scintilla che farà scoppiare l’episodio chiave del racconto, dopo il quale Arloc inizia a delinquere e poi sparisce dalla circolazione.

Il suo inaspettato ritorno vent’anni dopo, con tanto di figlia piccola di cui è unico genitore, chiarisce la vicenda, non senza incomprensioni nel mentre. Soprattutto però smentisce totalmente l’idea che Zerocalcare (e il lettore con lui) si era fatto di Arloc. 

A Babbo morto: l’altra faccia del Natale

Le storie di Natale sono sempre edificanti, positive, al limite dello stucchevole e piene di cliché. Zerocalcare ha scritto una storia che smonta tutti questi dogmi del genere del racconto natalizio. Lo fa in maniera più approfondita rispetto alla linea anticelebrativa del film Il Grinch o il racconto Il Canto di Natale di Dickens. Anche perché quelle sono storie rivolte soprattutto ai più piccini, mentre la storia di A Babbo morto, per le tematiche di attualità che tratta, è rivolta decisamente ad un pubblico adulto.

Tuttavia l’ironia della pubblicità di questa raccolta, intesa come una lettura per bambini nonostante la copertina piuttosto splatter, ha spinto lo stesso autore a pubblicare un post di precisazione sul suo profilo Facebook, il 12 Novembre:

«Al centesimo che me scrive commosso che è una cosa bellissima e sensibilissima e che sta regalando A Babbo Morto alla nipotina di sei anni, mi duole dover specificare che il fatto che fosse rivolto ai più piccini era una gag. Regà la foto ritrae una renna gambizzata, quella dopo un folletto impiccato a un lampione. Boh.»

(Z)ZeroCalcare su Facebook

Il contesto natalizio viene sfruttato per parlare dei problemi di tutti i giorni: quelli dello sfruttamento lavorativo, del precariato, delle soluzioni abitative, della violenza e dei soprusi delle autorità. I riferimenti sono alle cause che stanno a cuore da sempre al fumettista romano e che poche volte prima d’ora sono state raccontate in maniera così esplicita nelle sue opere. Se normalmente le suddette questioni vengono smorzate da un tono comunque leggero, Zerocalcalcare decide di imbellettarle con cappelli rossi a punta, renne e bastoncini di zucchero, portandole al centro del dibattito, dove non sono mai poste neanche nei giorni feriali. Ma questo effetto è quasi grottesco, contraddittorio e il contrasto tra l’ambientazione natalizia e la quotidianità dei fatti narrati è molto amaro.

A Babbo Morto - Credits: Zerocalcarefc.it/Bao Publishing
A Babbo Morto – Credits: Zerocalcarefc.it/Bao Publishing

Il minimo comune denominatore: la collettività e i problemi sociali

Da sempre Zerocalcare viene definito un autore “impegnato” soprattutto per il lavoro dedicato alla causa curda, a partire dal reportage Kobane Calling fino alle tavole dedicate a Eddi Marcucci (combattente italiana nelle milizie curde ad oggi sottoposta alla sorveglianza speciale dal governo italiano). Fino ad ora tuttavia il centro era sempre il suo corrispettivo fumettistico. Per la prima volta invece si fa narratore di storie altrui che sono emblematiche di problemi collettivi di portata più ampia.

In Scheletri, Zerocalcare personaggio è il veicolo attraverso cui viene narrata principalmente la storia di Arloc e tutti i problemi che si porta dietro: la marginalità della periferia, la droga, la fuga all’estero alla ricerca di un riscatto personale e di un futuro migliore.

In A Babbo morto il suo personaggio è addirittura assente e costituisce la sola voce narrante, cosa che a mia memoria non è mai accaduta prima nei suoi lavori.

Nella suddetta intervista sull’Espresso, il fumettista romano ha detto che a lui “manca qualcuno che dia una lettura dei fatti con un’angolazione diversa”. Ebbene, più o meno inconsciamente nei suoi ultimi due lavori fornisce due ottimi esempi di narrazione fuori dal quadrato, che va oltre lo status quo proponendo una angolazione diversa: la sua.

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Chiara Caputi
Nata sotto il segno dei Gemelli il che significa che in me convivono tutto e il contrario di tutto: la letteratura (dalla medievale alle contemporanea), il cinema, il teatro, le serie tv, i fumetti, l'opera, le arti visive e i programmi trash del palinsesto di Real Time. Scrivo di tutto perché «homo sum, humani nihil a me alieno puto»; con un approccio intersezionale e di genere perché credo che le prospettive di tutti e tutte hanno un valore, anche se non ci riguardano personalmente. Il curriculum vitae dice che faccio il dottorato in America, ma non è niente di serio.