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Drive-Away Dolls: cosa funziona e cosa non va nell’esordio “solista” di Ethan Coen

Margaret Qualley e Geraldine Viswanathan in Drive-Away Dolls. Focus Features. Credit: Working Title / Focus Features
Margaret Qualley e Geraldine Viswanathan in Drive-Away Dolls. Focus Features. Credit: Working Title / Focus Features

Se per Joel la prima volta dietro la macchina da presa senza il fratello era stata la tragica, intensa e straordinaria discesa nella follia di Macbeth, Ethan Coen sceglie un tono totalmente diverso per il suo Drive-Away Dolls.

Scritto già diversi anni fa, a quattro mani con la moglie Tricia Cooke, montatrice e produttrice che per la prima volta si cimenta nella sceneggiatura, oggi Drive-Away Dolls trova il suo momento ideale. Breve – anzi brevissimo – e genuinamente divertente, il film di Coen e Cooke ha una grande particolarità: i suoi punti di forza diventano punti di debolezza. Dipende da chi guarda.

Drive-Away Dolls: cosa ci piace

Drive-Away Dolls è una commedia queer come non se ne vedono molte in giro, né in sala né sulle piattaforme. Per fortuna il suo titolo originale viene mostrato almeno una volta, sui titoli di coda: Henry James’ Drive-Away Dykes e già da solo basterebbe a spiegarne lo spirito. Unapologetic, si direbbe in inglese, un film schietto come Jamie (Margaret Qualley) e goffo ma dal carattere deciso come Marian (Geraldine Viswanathan). Non si nasconde dietro schemi o strutture ripetute, anzi riesce a sorprendere il pubblico con scelte di stile e scrittura inaspettate, nonostante parta come il più classico dei film di “trasformazione” psicologica, il road movie.

È la storia infatti di Jamie e Marian, migliori amiche e lesbiche nella Philadelphia del 1999. Libera e senza freni la prima, repressa e introversa la seconda. A causa dell’infedeltà di Jamie nei confronti della sua compagna poliziotta (una sempre sul pezzo Beanie Feldstein), decidono di cambiare aria per un po’, dirigendosi verso sud a Tallahassee, in Florida, con un’auto a noleggio. Purtroppo il contenuto del bagagliaio, a loro insaputa, le metterà nei guai.

Illustrazione di @giorgiakelley

Si ride, tanto e di gusto con Drive-Away Dolls e lo si fa anche grazie alla scelta di Universal di mantenere la versione originale in lingua inglese e rinunciare al doppiaggio. Poiché le sfumature lessicali nel film sono importanti tanto quanto il pesante e delizioso accento texano messo a punto da Margaret Qualley.

L’umorismo di Drive-Away Dolls, inoltre, si costruisce strato su strato, a partire dalla fisicità delle attrici e degli attori, fino ad arrivare agli equivoci, ai dialoghi e alle immancabili battute a sfondo sessuale, in una commedia che fa dell’amore libero – e lesbico – il suo punto focale.

Nel folle viaggio che ne segue, i piccoli ruoli di Pedro Pascal, Colman Domingo e Matt Damon sono un prezioso bonus, ma non intaccano il senso di una storia tutta al femminile. Un po’ come (SPOILER) i dildo speciali nascosti in auto. È bello averli, ma non sono indispensabili, “regalo” inaspettato di una super hippie Mliey Cyrus-Cynthia Plaster Caster, ispirata a un personaggio realmente esistito.

Cosa solleva dubbi

Ribaltando le stesse identiche qualità del film, Drive-Away Dolls potrebbe scivolare via, nei suoi soli 84 minuti, di fronte a un pubblico spiazzato dalla direzione presa da Ethan Coen. Lo stesso film si potrebbe leggere come un road movie un po’ troppo sopra le righe, al cui centro non c’è né il viaggio né il senso e la trasformazione durante lo stesso. Ma solo un’avventura strampalata e – certamente – poco realistica.

Un percorso senza scopo, che al contrario un obiettivo ce l’ha eccome: raccontare finalmente una storia in cui l’aggettivo queer significa tutto e non significa niente, si oltrepassa e si dà come sfondo di qualcos’altro.

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