
I ricordi sono un materiale difficile da gestire e il film documentario li raccoglie per non dimenticarli o lasciare che si perdano in balia del tempo.
los Zualagas è un album di famiglia, che al posto di sole fotografie contiene video e testimonianze, pagine di diario e ricordi, ancora dolorosi da riportare alla luce. los Zuluagas è l’opera prima della regista Flavia Montini, che ascolta e raccoglie le parole di Camilo, figlio dei guerriglieri colombiani Bernardo Gutierrez Zuluaga e Amparo Del Carmen Tordecilla, per fissarli in un racconto che arriva fino a noi.
Presente e passato
Camilo torna nel suo paese d’origine dopo 25 anni di esilio in Italia. Lo fa per capire il suo passato, e le scelte intraprese dai suoi genitori: suo padre, comandante rivoluzionario, e sua madre, scomparsa quando era ancora molto piccolo, “fatta sparire”, mai ritrovata. Il documentario si avvale della possibilità di seguire il presente, il ritorno di Camilo nella terra d’origine, con la sorella Ana Maria e il figlio, per il suo primo viaggio in Colombia.
Qui gli occhi del bambino si sovrappongono a quelli di suo padre: quel paese, le strade, i volti, lo fanno sentire diverso da prima. E i ricordi di tensione emotiva, vissuta come reazione alla sua infanzia non comune, finalmente si distendono, conciliandosi con l’accettazione e la necessità di non dimenticare quei momenti, né quelli belli ma soprattutto quelli brutti.
Cosa sopravvive al tempo, alla distanza, alla paura?
Juan Camilo Zuluaga Tordecilla
Camilo si rivolge spesso a suo padre, Bernardo Gutierrez Zuluaga, mentre rovista tra le testimonianze che sono state immortalate in scritti, filmati amatoriali, foto, articoli, servizi televisivi e pagine di quotidiani. Un dialogo immaginario, poiché l’uomo è morto nel 2008, dopo aver lasciato la Colombia per approdare nel 1994 in Italia, e dopo essere stato tra i promotori degli Accordi di Pace del 1991 con il governo colombiano.
Ma la presenza ingombrante del comandante guerrigliero, che non lasciava mai la posizione di comando neanche nell’ambiente domestico, si alterna per Camilo all’esigenza di ritrovare la voce di sua madre, Amparo Del Carmen Tordecilla. Anche lei militante del Partito Comunista Colombiano – Marxista Leninista, rapita il 25 aprile 1989 a Bogotà e mai tornata dai figli, Camilo e Ana Maria.
Rimase solo una scarpa di Amparo, identificata in seguito come sua proprio da Camilo, che all’epoca era un bambino. Quel fantasma continuerà a seguirlo per tutta la vita: come protezione ma anche come presenza di cui aver timore.
Sarebbe stato possibile ritrovarla? Suo padre Bernardo aveva fatto abbastanza? Non esistono risposte, ma solo altre mille domande, onnipresenti e insistenti.
Il linguaggio del documentario
Camilo Zuluaga Tordecilla partecipa sia alla stesura del soggetto che alla sceneggiatura, e senza il suo apporto diretto, probabilmente, los Zuluagas non sarebbe stato la stessa cosa. Quel lessico familiare di guerra intrinseca e conflitti irrisolti fluisce nelle scelte di regia e nel montaggio del film, che documenta, sì, riavvolgendo il nastro della memoria, ma ne interpreta anche il non detto, attraverso scelte estetiche che elevano il linguaggio dell’opera.
Raccontare e lasciarsi raccontare: los Zuluagas è una piccola storia, inserita nella Storia che, la maggior parte delle volte, ci si limita a leggere su libri e saggi. È la parte sensibile e nascosta degli eventi che possono comparire su un giornale, è un’opera prima con un’identità ben definita.
Sarà perché la narrazione di los Zuluagas è esattamente ciò che cerco nel cinema documentario, sarà perché, per poco tempo, sono entrata in contatto con l’eredità di questa famiglia, quando scorgo il riflesso degli occhi di Camilo nel monitor del computer, mentre guarda una delle ultime interviste di suo padre, capisco quanto sia importante comunicare questa storia, portarla al presente e disperderla nel futuro per mantenerla viva.
Presentato al Festival dei Popoli, dove ha ricevuto il premio per la distribuzione in sala Imperdibili, los Zuluagas ha poi vinto il Premio Valentina Pedicini, conferito ai Nastri d’argento per il documentario dal Sindacato Giornalisti Cinematografici. E per la vicenda che racconta e il timbro con cui viene affrontata, è patrocinato da Amnesty International.
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