Non riattaccare è il secondo lungometraggio del regista Manfredi Lucibello, liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Alessandra Montrucchio, presentato al Torino Film Festival dove Barbara Ronchi, protagonista, ha ottenuto la menzione speciale come miglior attrice. Disponibile in sala dall’11 luglio e distribuito da I Wonder Pictures.
Non riattaccare, la trama
Siamo nel 2020 in pieno lockdown, nel silenzio della notte il telefonino di Irene (Barbara Ronchi) squilla. È Pietro (Claudio Santamaria), il suo ex. La donna non lo sente da mesi. Pietro è fuori di sé e le sue parole confuse lasciano presagire un atto disperato.
Irene escogita un piano, ovvero tenere al telefono Pietro in modo da impedire qualsiasi gesto imprudente. Nel frattempo prende le chiavi della macchina e si mette in viaggio, da Roma verso Ostia, dove raggiunge la casa al mare dove hanno trascorso alcuni dei momenti più belli della loro relazione. “Perché è finita?” Chiede Pietro a Irene. Lungo il percorso lei cerca di tenere viva la conversazione, prima che sia troppo tardi, nonostante inevitabili imprevisti.
Un lockdown fisico ed emotivo
Non riattaccare è la storia di una donna, di un uomo e di un legame inscindibile tra i due, sorretto esclusivamente dal non detto, dall’irrisolto sentimentale e dal senso di colpa che li ha trascinati in un vortice angoscioso in cui la coppia si è aggrappata per tantissimo tempo cercando di cogliere i resti di un qualcosa di insanabile.
Cadenzato, nei suoi toni cupi e oscuri, ma sempre vigili e attenti, il film è quasi tutto ambientato all’interno dell’automobile che conduce Irene da Pietro, con la speranza che i chilometri percorsi in quella notte possano colmare i diversi abissi interiori nati nel tempo all’interno della relazione. L’abitacolo dell’auto diventa un bacino emozionale, in cui i ricordi la storia si snoda e prende forma.
Non riattaccare: come aggrapparsi alla vita
La prova attoriale di Barbara Ronchi è più che degna di nota, bravissima nella sua interpretazione smarrita, affranta e stanca. Una stanchezza diffusa, che in modo empatico tocca anche il pubblico nel corso del road movie, fisico ed emotivo.
Ad accentuare le sfumature di inquietudine vi è poi il contesto storico in cui la storia si svolge, il 2020. Il periodo pandemico è un motivo in più per aggrapparsi alla voglia disperata di dialogo, comprensione, di esternazione del bello del brutto, del dolore e della gioia, un desiderio di confronto con cui è facile immedesimarsi, perché vissuto in prima persona dal pubblico.
Irene e Pietro sono una (ex) coppia che cerca conforto l’uno nella disperazione dell’altra, in un periodo in cui lo spazio e il tempo si sono interamente fermati. Ma ad andare avanti c’è la vita, la voglia di andarsene, di perdonare e perdonarsi. La regia lavora sull’umano, agendo in sottrazione, una chiamata interrotta, i discorsi sospesi, una batteria del cellulare scarica, una scenografia ridotta al minimo e il silenzio morboso e prevaricante di un lockdown che vede innalzare confini, non solo territoriali, ma anche esistenziali. La nuova connessione tra i due ex è una proiezione di quel 2020, un evento che ha scosso ciò che era sedimentato, forse nell’inconscio, e che è riemerso mediante verità inconfessabili.
In breve
È un vincolo d’amore testardo, quello tra Irene e Pietro. Sorretto quasi interamente dal senso di colpa. Una relazione vissuta come una zona di conforto, da cui entrambi non riescono ad allontanarsi del tutto, perché troppo abituati al dolore condiviso, ai rimorsi ai rimpianti.
Ronchi e Santamaria fanno di Non riattaccare un avvincente e claustrofobico road movie sentimentale, la cui angoscia aumenta all’aumentare della curiosità per il destino di entrambi.
Segui FRAMED su Instagram e Facebook per tutte le novità: c’è anche il canale Telegram aggiornato quotidianamente.