Spencer. Leone Film Group, 01 Distribution
Spencer. Leone Film Group, 01 Distribution

A fable from a true tragedy

Queste sono le prime parole di Spencer, il nuovo film di Pablo Larraín, sovrascritte sull’incipit silenzioso di un incubo storico (e personale), al quale il regista ha deciso di fornire un nuovo e imprevisto respiro di libertà.

Il film, presentato in concorso alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, ricostruisce il dramma della premeditazione dell’abbandono: quello della principessa del Galles verso il consorte e tutta la famiglia reale britannica. Larraín immagina una versione tanto ipotetica quanto probabile di cosa quell’insostenibile Natale ha potuto rappresentare per Lady Diana, prima di separarsi dal marito e da tutto ciò che l’aveva inghiottita.

Spencer/Stewart

Kristen Stewart è Diana Spencer e, sebbene all’inizio il suo modo assumere le sembianze della principessa sembri forzato – gli occhi bassi, la tonalità della voce, il modo di camminare – l’attrice ci lascia entrare nel dramma di una Diana consumata dagli anni passati nelle regole delle apparenze. Lo fa con i movimenti carichi di risentimento, assistiamo all’ondeggiare scomposto di una donna leggerissima appesantita da oneri imposti da chi decide al posto suo.

Larraín vuole che l’attenzione nel dramma immaginato per lei, e consumato in quelle tragiche vacanze di Natale, sia sempre guidata dal concetto di “peso”: in senso metaforico ma anche fisico. Il disturbo alimentare di Diana Spencer (di cui si parla apertamente anche nella quarta stagione di The Crown) è onnipresente come un’ossessione dolorosa e una via d’uscita momentanea. La protagonista è quindi caricata da una smaniosa voglia di fuggire e tornare alle origini.

Spencer. Leone Film Group, 01 Distribution

Tre giorni – La tortura di un Natale con la famiglia reale

Spencer racconta il susseguirsi di tre giornate, dilatate e quindi lunghissime alla nostra percezione. Quando Diana arriva nei pressi di Sandringham indugia, prima di dirigersi dove il resto della famiglia la aspetta per Natale. Proprio lì vicino c’è quello che rimane di Park House, la sua casa d’infanzia, e lo spaventapasseri con indosso ancora una vecchia giacca logora di suo padre la riavvicina come una visione al suo essere una Spencer, prima di diventare principessa.

E le “visioni” non si limitano a lampi di consapevolezza, ma a stati allucinatori e sogni ad occhi aperti che ridipingono l’atmosfera formale dei festeggiamenti reali di sofferenza e senso di soffocamento. Diana odia quella gabbia, e solo il rapporto con i due figli riesce a riportarla alla realtà. Il rapporto con il cibo è determinante, ma ad esso si aggiunge il pensiero dell’autolesionismo, e la tristezza viscerale nei confronti di un matrimonio in cui aveva creduto, ingenuamente, innamorata dell’idea di amore.

La rappresentazione di Larraín restituisce quell’incubo, appunto, rimanendo attaccato ai passi della donna come un fantasma, pedinandone le fughe, sottolineandone i cambi di umore e la malinconia nostalgica. La sua tecnica nel descrivere il personaggio si lega alla storia vera: Ken Wharfeex guardia del corpo di lady Diana, descrisse a People quel Natale del 1991 come un vero “purgatorio” per lei.

Per questo Spencer ripensa ad un finale positivo per il dramma della principessa, che sembra quasi un regalo offerto alla sua memoria. Come sappiamo, solo un anno dopo la separazione sarebbe stata ufficializzata, prima di una morte prematura nel 1997, e il fatto che il film si soffermi sul punto di svolta e sulla ricerca di una propria identità a discapito dell’immagine pubblica lo connota come una lettura profonda e inaspettata.

Musica e violenza

La variazione sul tema che il regista concede a Diana è simile a quella elaborata da Jonny Greenwood nella colonna sonora composta per il film. Un vortice attraente di free jazz abilmente cucito addosso al film, come un abito indossato per sfida (chi ha visto il film percepirà l’assonanza). Immagini e musica sono interdipendenti e da sole non avrebbero lo stesso impatto.

In particolare è il sound design ad orchestrare, nel vero senso della parola, le reazioni emotive durante la visione. I volumi e quelle variazioni sul tema riflettono l’anima di Diana, braccata come un fagiano da cacciare, alla deriva in un luogo in cui non si sente più parte di una famiglia (se mai lo è stata).

L’incedere dei suoni e dei primi piani senza via di fuga tramette il tipo di violenza al quale era sottoposta quotidianamente, per questo la scena dei flash incessanti sparati sul suo viso all’uscita della messa di Natale continuerà a tornarmi in mente quando ripenserò alla sua morte.

Spencer. Leone Film Group, 01 Distribution

In breve

Spencer torna dopo Jackie (2016) a raccontare un controverso personaggio femminile schiacciato sotto il peso delle convenzioni e della “presentabilità”. Lo fa ricordando però la lezione registica de La favorita (The Favourite, 2018) di Yorgos Lanthimos: il biopic descrittivo cede quindi il passo all’oscura discesa nell’onirico. Le composizioni di Greenwood ne dirigono l’intensità e i tempi di riflessione. La tangibilità delle emozioni si scatena alla fine, in cui i sogni scompaiono per lasciar tornare Diana al suo essere una Spencer, e non una futura, impeccabile, faccia sulla banconota da 10 pounds.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.

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