The Witch, Universal Pictures
The Witch, Universal Pictures

The Witch – Il film

Nel New England del XVII secolo, l’estremismo religioso di un predicatore costringe lui e la sua famiglia all’allontanamento dalla comunità pagana in cui vivono. Lo spiazzo antistante un cupo bosco ospiterà il precario isolamento di William (Ralph Ineson), Katherine (Kate Dickie) e i loro cinque figli: Thomasin, la più grande (Anya Taylor-Joy), Caleb, i gemelli Jonas e Mercy e il neonato Samuel.

La misteriosa e repentina scomparsa del piccolo della famiglia – affidato alle cure della sorella maggiore Thomasin – mette in moto una serie di dissapori, sospetti e bugie, che inaspriscono i già traballanti equilibri domestici. Allo spettatore viene subito rivelato che la vera responsabile della sparizione del bambino è una strega che vive nel bosco confinante con la loro umile dimora. La realtà di questa presenza che incombe sui destini della famiglia si combina con le allusioni, le accuse e i timori che la stessa Thomasin abbia fatto un patto con il demonio, innescando dinamiche distruttive che portano all’implosione del nucleo familiare, minacciato in ultima analisi da una femminilità in sboccio.

Robert Eggers ci offre con The Witch (The VVitch: A New-England Folktale, 2015), il suo lungometraggio d’esordio, la sua versione del secolare connubio di femminilità e stregoneria, della superstizione e della diffidenza con cui la donna (soprattutto in sviluppo) viene vista da un malcelato occhio patriarcale, che appartiene tanto agli uomini quanto alle donne e ai bambini.

What’s the matter with thee, Thomasin?

Nel suo saggio sul “mostruoso femminino”, Barbara Creed prende in esame la figura della strega come una delle sue incarnazioni, a fianco, tra le altre, della madre arcaica, del corpo posseduto e della vampira. La paura nei confronti della strega si configurava come paura della strega/donna in quanto “altra”, in quanto agente di castrazione: Creed cita dei passi del Malleus Maleficarum, il celebre trattato in latino, che danno la misura dei termini in cui questo timore si esplicitasse.

“Cos’altro è la donna se non un nemico dell’amicizia, una punizione ineluttabile, un male necessario, una tentazione naturale, una calamità desiderabile, un pericolo domestico, un danno delizioso, un male della natura, dipinto con bei colori!”

In The Witch, Robert Eggers fa di Thomasin la catalizzatrice di queste ossimoriche connotazioni, distruttrice dell’ordine simbolico interno al discorso patriarcale, forza della natura che può far sparire bambini e aizzare caproni. Senza tuttavia fare uso della forza metaforica del ciclo mestruale femminile come specchio dei poteri soprannaturali (come avviene, ad esempio, in Carrie – Lo sguardo di Satana di Brian De Palma).

The Witch. Illustrazione di Cristiano Baricelli.

I am that very witch

Il film si apre sul volto di Thomasin, su cui viene però apposta la voce del padre, che esplicita il motivo del loro allontanamento dalla comunità: il campo del visivo, quello cinematograficamente più potente, più distintivo, e quindi istintuale, è del femminile, mentre il campo del sonoro, connesso alla razionalità, è del maschile. Thomasin verrà fatta tacere a più riprese, riuscendo dapprincipio a imporre una sua narrazione performativa – la finzione di essere lei la strega del bosco – solamente sui gemelli.

Il progressivo allontanamento fisico della famiglia sul carretto dalla comunità è visto dalla prospettiva di Caleb: è una soggettiva “incorniciata” dai cappelli della madre e della sorella. Sovvertendo il rapporto classico tra oggettiva e soggettiva, dove la prima precede la seconda – l’inquadratura di chi guarda precede ciò che da questi viene visto – Eggers ci mostra solo in un secondo momento un’oggettiva ormai cieca: Caleb non sta (più?) guardando, il legame è stato reciso. A sottolineare questo distacco, la macchina da presa si ferma, impedendoci momentaneamente di seguirli nel loro moto di separazione: rimaniamo – per un attimo – con la comunità, a indovinare da lontano il disastro che si abbatterà sugli sventurati scissionisti.

Wouldst thou like to live deliciously?

Le inquadrature apparentemente casuali sul bosco sono in realtà un’anticipazione presaga della minaccia che presto dal bosco giungerà a mettere scompiglio. La famosa scena di Thomasin che gioca con il piccolo Samuel ci mostra una successione di campi e controcampi in cui inquadrature frontali della ragazza intenta a fare peekaboo con il bambino e a ridere con lui dalla gioia si alternano a quelle di Samuel davanti a lei nella spartana culla. Nel momento di maggior sgomento, la reaction shot di Thomasin che fissa davanti a sé è stranamente lunga, e contribuisce ad accrescere l’inquietudine fino all’ovvio controcampo del giaciglio vuoto, e dell’inquadratura sul bosco con rumori come di rametti spezzati e fruscii provocati da un rapidissimo spostamento d’aria.

Da questo momento un forte trauma – l’aver perso un bambino proprio con l’allontanamento dalla comunità – si inserisce nella quotidianità della famiglia, acuendo le già presenti disarmonie e criticità. La sessualità in fiore di Thomasin ci viene restituita dal punto di vista di Caleb, che si pone nei suoi confronti alternativamente come bambino da accudire, complice e difensore patriarcale. Il suo essere una donna adolescente la rende l’essere più temibile e temuto dalla società e dalla famiglia: comincia ad essere accusata e rimproverata per cose assurde, o che noi sappiamo per certo non essere responsabilità sua, fino al volersene liberare come di un peso che non si è più in grado di sopportare.

The Witch, Universal Pictures

La questione dei ruoli all’interno del nucleo familiare torna a galla a più riprese, ma d’impatto è la figura di William, il padre, totalmente impotente di fronte a quanto sta avvenendo, che si ostina in una mansione dal forte connotato maschile, ovvero il tagliare la legna (spesso come valvola di sfogo, come affermazione estemporanea di una supposta virilità). È la stessa Thomasin ad esplicitare la vanità di tale azione (“Thou canst do nothing save cut wood!”), che tornerà come contrappasso finale.

Una “caccia alle streghe” all’interno di una famiglia, The Witch traccia con ossessione e claustrofobia una discesa negli inferi dell’incomprensione, nella paura dell’altra e della forza esplosiva della sessualità. Punta di diamante di un cast in stato di grazia, interprete eccezionale e non abbastanza celebrato di questo film, Harvey Scrimshaw nei panni di Caleb, protagonista di una delle scene migliori dell’intero film (che potete guardare qui sotto).

Continua a seguire FRAMED anche sui social: ci trovi su FacebookInstagram Telegram.

L’illustrazione originale è di Cristiano Baricelli, che ringraziamo. Qui il suo sito ufficiale.