Antonio Banderas, Penélope Cruz e Oscar Martínez in Competencia oficial.
Competencia oficial (2021), diretto da Mariano Cohn e Gastón Duprat

Si è da poco conclusa la 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, e il bilancio è indubbiamente positivo. Anche, e soprattutto, in termini di qualità media dei film, tra concorso e sezioni collaterali. Cosa che però rende paradossalmente più difficile orientarsi tra i tanti titoli che hanno (e ci hanno) colpito in positivo. Ve ne proponiamo cinque, tra film premiati dalle rispettive giurie e altri rimasti fuori dal palmarés. Una selezione soggettiva di titoli che abbiamo particolarmente amato e speriamo di (ri)vedere prestissimo in sala. Ecco i nostri 5 film da scoprire di Venezia 78.

1 – Il buco

Venezia 78 5 film: Una scena de Il buco di Michelangelo Frammartino, Lucky Red.
Una scena de Il buco di Michelangelo Frammartino, Lucky Red.

Se ne è discusso, è stato acclamato (da molti) e rifiutato (da alcuni), infine premiato. Ma mai come in questo caso, per capire di cosa stiamo parlando, bisogna vederlo. Al cinema. Perché il terzo lungometraggio di Michelangelo Frammartino è stato la più radicale, anomala e profonda (in ogni senso) esperienza cinematografica della Mostra. L’epopea degli speleologi che per primi esplorarono i 700 metri dell’Abisso del Bifurto in Calabria è raccontata nello stile del regista (sceneggiatore con Giovanna Giuliani). Ovvero, decentrando l’umano. Restituendolo (e restituendoci) a un mondo visivamente ed eticamente senza gerarchie tra elementi della natura e del paesaggio.

Un viaggio in controtendenza rispetto ai movimenti dominanti dell’Italia di allora, fatta di crescita verso l’alto e migrazioni da Sud a Nord. Ma anche rispetto al modo convenzionale di fare film. Quasi assenti le parole e le musiche, ma fondamentali i suoni. E soprattutto, quella «fiducia nell’immagine» che Frammartino rivendica come strumento “speleologico” chiave del suo cinema. Un cinema di buio e di luce fisici e psichici, di Storia lineare (ma non unidirezionale) e di circolarità arcaica. Una meditazione sul nostro rapporto con la vita (e la morte), le vastità sotto e dentro di noi, l’incontro e la scoperta come alternativa a un’idea sterile di sviluppo. A modo suo, un oggetto rivoluzionario, e un dono inappropriabile, per chi vi possa assistere.

2 – Competencia oficial

Venezia 78 5 film: Antonio Banderas, Penélope Cruz e Oscar Martínez, film di Mariano Cohn e Gastón Duprat.
Antonio Banderas, Penélope Cruz e Oscar Martínez, film di Mariano Cohn e Gastón Duprat.

Avrebbe davvero meritato di entrare nel palmarés il film in concorso degli argentini Gastón Duprat e Mariano Cohn. Che proseguono, col co-sceneggiatore Andrés Duprat, la loro riflessione ironica, acuta e senza sconti sull’arte e gli artisti. Portandola stavolta nei meandri del fare cinema. Con lo straordinario, conflittuale trittico formato dalla regista geniale e nevrotica Penélope Cruz e dagli opposti divi Antonio Banderas e Oscar Martínez. Star hollywoodiana l’uno, intellettuale snob l’altro. A unirli, un film prodotto da un anziano miliardario e tratto da un libro su due fratelli che si scambiano e rubano la vita.

Si ride al ritmo serrato di una commedia classica, ma il tono è quello (apparentemente) pacato e riflessivo del cinema di Cohn e Duprat. Che decostruiscono con umorismo anche (sanamente) crudele le unità fondamentali dell’industria filmica. A partire dall’ego di chi ne fa parte. Scena emblematica (con spoiler): i due attori sono legati e immobilizzati insieme dalla regista. Costretti ad assistere mentre la donna getta i loro riconoscimenti artistici in un inceneritore. «I premi servono a qualcosa, dopotutto», commenta. Forse troppo iconoclasta per vincere qualcosa alla cerimonia del Lido. A dimostrazione ulteriore che la satira ha colto nel segno.

3 – Un autre monde

Venezia 78 5 film: Vincent Lindon in Un autre monde, di Stéphane Brizé.
Vincent Lindon in Un autre monde, di Stéphane Brizé.

Altro lungometraggio in concorso rimasto, purtroppo, senza riconoscimenti. La conclusione della trilogia di Stéphane Brizé sull’inferno del mercato lavorativo contemporaneo si è mantenuta all’altezza delle aspettative. Rischiando molto (se non tutto) nel raccontare l’altro lato della barricata, quello della classe imprenditoriale. Raccontando la parabola del manager in crisi (di coscienza) Philippe, che riceve dai proprietari dell’azienda il mandato di tagliare ulteriormente personale. Con costi insostenibili (anche) in termini di sicurezza sul lavoro.

Vincent Lindon dà corpo a un altro protagonista in lotta contro e dentro il sistema. E anche stavolta infonde un’umana intensità che è anche, e soprattutto, desolazione di fronte all’ordinaria follia in cui stiamo sprofondando. Del trittico, è forse il più esplicito nel mettere in evidenza le storture autodistruttive intrinseche alla globalizzazione capitalista. Nonché il più compatto nell’integrare dimensione pubblica e privata. Tra sconfitte ed estremi, ma non per questo irrilevanti, sussulti di dignità.

4 – À plein temps

Venezia 78 5 film: Laure Calamy in  Á plein temps, di Éric Gravel.
Laure Calamy in À plein temps, di Éric Gravel.

Il film rivelazione della sezione Orizzonti, dove ha vinto i premi per la regia e la magnifica interpretazione di Laure Calamy. L’odissea quotidiana di una madre separata che ogni giorno deve conciliare la cura dei due figli piccoli col lavoro di cameriera in un hotel a cinque stelle. Dovendo spostarsi, per giunta, dalla campagna dove vive con i bambini a una Parigi in tumulto per gli scioperi del 2020. È un vero e proprio thriller della normalità il film di Éric Gravel.

Dove per un’ora e mezza abbiamo il fiato mozzo come la protagonista perennemente in corsa, sola di fronte in un mondo indifferente quando non ostile. Sullo sfondo, l’impoverimento della classe media, l’oscenità delle diseguaglianze, di cui le stanze d’albergo e chi deve pulirle sono il perfetto emblema. Lo scandalo irrisolto di una società che costringe a scegliere tra lavoro e affetti, tanto più quando si tratta delle donne. E che nel furto generalizzato di diritti sottrae prima di tutto quello al proprio tempo.

5 – Il mondo a scatti

Cecilia Mangini ne Il mondo a scatti. Di di Paolo Pisanelli e Cecilia Mangini.
Cecilia Mangini ne Il mondo a scatti. Di di Paolo Pisanelli e Cecilia Mangini.

Un festival parte decisamente bene, quando uno dei titoli di pre-apertura (per Giornate degli Autori e Notti Veneziane) è tra i più memorabili dell’intera rassegna. L’ultimo film di Cecilia Mangini, realizzato col co-regista e collaboratore Paolo Pisanelli, è un percorso commovente nel vissuto personale e artistico della grande fotografa e documentarista scomparsa all’inizio del 2021. Una riflessione sull’immagine, fissa e in movimento, dove emerge ancora una volta la straordinaria personalità di Mangini, il suo sguardo sempre appassionato e mai conformista sul reale.

Un diario, un saggio, un racconto on the road e tante altre cose insieme. Senza che nessuna definizione prevalga e si faccia totalizzante. Perché in ogni scatto del mondo di Cecilia Mangini si respira una tensione alla libertà personale mai irrelata da quella altrui. Dalla vitalità dei sottoproletari romani, dall’orgoglio dei combattenti vietnamiti, dalla condizione delle donne in Italia o in Iran. La camera (dello stesso Pisanelli) la segue e la interroga, il montaggio (Matteo Gherardinelli) compone i tasselli di un movimento di movimenti irripetibile. Che ha prodotto sguardi inconsumabili su settant’anni di Storia e di umanità. 

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