Una notte a New York (Daddio) - Colloquio la regista con Christy Hall
Christy Hall, regista di Una notte a New York (Daddio). Courtesy of Lucky Red/Leone Film Group

L’idea di Una notte a New York (Daddio) nasce come testo teatrale, per l’off-off Broadway, per quei teatri black box senza quinte, senza scenografie e da poche decine di posti. Lo stretto necessario, che riporta tutta l’attenzione sulla performance e sulla parola. Non stupisce quindi che Christy Hall, dopo averlo scritto, ne abbia rispettato il nucleo anche nella versione cinematografica in cui poi il suo dialogo si è trasformato.

Fra le prime tre sceneggiature della cosiddetta black list hollywoodiana del 2017 (l’elenco delle migliori sceneggiature ancora non prodotte ma che circolano fra gli Studios), Una notte a New York è diventato un interessante studio di personaggi, nello spazio chiuso di un taxi, durante il lungo tragitto dall’aeroporto JFK al centro di Manhattan. Un’ora e mezza circa in cui due perfetti sconosciuti, il tassista (Sean Penn) e la passeggera (Dakota Johnson) trovano il tempo, lo spazio e il modo per aprirsi l’un l’altra con brutale sincerità.

Uno “spazio sicuro” ma utopico fra uomo e donna

Una notte a New York è l’esordio di Christy Hall dietro la macchina da presa e, dopo la presentazione a diversi festival internazionali, il suo film adesso esce in sala anche in Italia con Lucky Red e Leone Film Group (il 19 dicembre 2024). Per l’occasione la regista è arrivata a Roma, dove abbiamo avuto modo di incontrarla, insieme ad altri giornalisti.

Dakota Johnson e Sean Penn in Una notte a New York (Daddio). Courtesy of Lucky Red e Leone Film Group
Dakota Johnson e Sean Penn in Una notte a New York (Daddio). Courtesy of Lucky Red e Leone Film Group

Partendo quindi proprio dalla domanda di Framed Magazine, riguardo la particolare costruzione di uno spazio sicuro ma utopico, per una donna sola, chiusa nell’abitacolo di una macchina con un uomo estraneo, Christy Hall afferma: «Per una donna è difficile sentirsi al sicuro praticamente ovunque. Ogni volta che abbiamo l’audacia di oltrepassare l’uscio di casa non smettiamo mai di guardarci le spalle. E ciò che molti uomini non sanno è che noi donne valutiamo momento per momento se una situazione è sicura o meno. Perciò, in maniera anche volontaria, le donne guardano questo film in modo diverso rispetto agli uomini. Ed è una cosa che mi piace sottolineare, celebrare».

Riguardo la specificità della situazione in Una notte a New York, Christy Hall prosegue: «Non penso che la protagonista si senta immediatamente al sicuro nel taxi. Parte del modo in cui all’inizio flirta con il tassista, rispondendo al suo sottile invito a conversare, è la strategia attraverso cui lei lo osserva attentamente, per capire fino a che punto l’uomo si voglia spingere».

Sottolineando poi che Sean Penn e Dakota Johnson recitano fedelmente le parole che lei ha scritto, e che sono state studiate con precisione sulla pagina, Hall aggiunge: «Ogni volta che lui devia la conversazione, lei la riporta dove desidera, dove si sente più a suo agio. Mi verrebbe da dire che noi donne siamo diventate maestre della conversazione perché ci ritroviamo costantemente a mettere dei paletti, consentire o non consentire alcune cose. Siamo quasi delle alchimiste. Per questo credo che ci siano delle sfumature di significato in Una notte a New York che le donne comprendono subito, e non perché gli uomini non ne siano capaci».

«È una questione di sicurezza che emerge. E credo che finché nel film non si arriva al tunnel di Mid Manhattan, quasi alla fine del viaggio, la protagonista non si senta mai del tutto sicura. Solo dopo comprende di poter dire al tassista cose che non potrebbe dire a nessun altro, ma solo perché lui è stato molto onesto con lei, “indossando” tutti gli errori che ha commesso come medaglie al valore. Quando lei comprende questo, permette all’utopia di quello spazio sicuro di prendere forma e capisce che se ci sono cose che non potrà dire mai più a nessun altro, se non le dice in quel momento a quell’uomo sconosciuto».

Il taxi come metafora

In Una notte a New York, prosegue Christy Hall durante l’incontro con la stampa, lo spazio chiuso del taxi è «una metafora, uno specchio in grado di rappresentare l’umanità e riflettere la solitudine», ma anche l’idea per cui ogni tanto ci sentiamo bloccati in luoghi claustrofobici della nostra mente.

«Ciò che il taxi rivela è che quando siamo capaci di condividere davvero quello spazio con qualcuno, quando siamo capaci di aprire la finestrella che ci separa uno dall’altro e guardare attraverso, ci diamo davvero l’opportunità di connetterci e riconoscerci. Quel che serve però è il coraggio, l’apertura verso l’altro».

Naturalmente gran parte di ciò che accade nel lungo tragitto dall’aeroporto a Manhattan è frutto di fantasia, non di reali conversazioni, tuttavia la regista sottolinea come anche una storia di fantasia come questa posse ugualmente essere percepita come personale.

«Vivo a New York da più di dieci anni e più volte mi sono ritrovata a fare le conversazioni più profonde della mia vita con degli estranei in questa città. Sui treni, al bar, per strada: ai newyorkesi piace parlarsi. E pensare solo che in città esistono oltre 300 lingue. Ci sono persone da tutto il mondo e con questo film, in fondo, ho provato a catturare questa sensazione che si ha, vivendoci. Penso sia un’esperienza universale, uno scambio catartico con un completo estraneo».

Sean Penn in Una notte a New York. Courtesy of Lucky Red e Leone Film Group

«La mia speranza – prosegue – è che molte persone che non l’hanno mai provata si aprano a questa possibilità (di breve intimità con gli sconosciuti, ndr) perché è qualcosa che ti cambia per sempre. Ci sono cose che non diresti mai, infatti, nemmeno ai tuoi migliori amici, a tua sorella e a tuo fratello, ma a un estraneo sì, perché sai che non lo rivedrai mai più e allora rimuovi ogni giudizio, hai più libertà».

New York, protagonista invisibile

Proprio la rappresentazione di New York, che in realtà non si vede mai, è l’aspetto più interessante di Una notte a New York dal punto di vista tecnico, cioè su come una dettagliata sceneggiatura in costante movimento riesca a trasformarsi in un film interamente girato in studio e con un budget ridottissimo.

«I newyorchesi conoscono benissimo il tragitto che fa da sfondo al film, è un percorso molto preciso, perciò sapevo che avrei dovuto realizzarlo con altrettanta precisione per apparire credibile ai loro occhi», aggiunge la regista.

«All’inizio ho pensato al camera car, ma avrebbe significato girare solo di notte, senza certezze sulle condizioni meteo, il traffico o la continuità delle riprese. Ho pensato persino al blue e al green screen, ma avendolo in ogni inquadratura avrebbe fatto schizzare alla follia il budget». La soluzione, alla fine, è stata una magia del dipartimento di fotografia.

«Abbiamo usato pannelli LED intorno al taxi, circondato da nove macchine da presa, proiettandovi scene dello stesso percorso, girate in precedenza in 4K. Questi pannelli quindi riproducevano le scene su quattro superfici diverse. Sfondo e primo piano si sono fusi nelle lenti dando profondità alle inquadrature rendendole reali e permettendomi anche di individuare capitoli diversi della storia», man mano che si ha l’illusione del movimento dell’auto verso New York.

Un film in sequenza

Proprio per la particolare natura della riprese, Una notte a New York è stato girato in sequenza, cioè nell’ordine cronologico delle scene. Questo ha permesso, afferma Christy Hall, a Sean Penn e Dakota Johnson di costruire il loro dialogo in crescendo. Non ci sono state molte prove, ammette la regista, anche per non rendere i loro scambi troppo familiari. Tuttavia il testo è stato trattato e studiato dai due interpreti, a tutti gli effetti, come un testo teatrale.

È anche grazie a questo processo che si arriva all’intenso finale, e a quella rivelazione della misteriosa ragazza che cambia tutto il senso del film. Non era però l’unica opzione, rivela Christy Hall. C’era in effetti una versione in cui il tassista di Sean Penn non rinuncia a provare spudoratamente a entrare in casa della protagonista per passare la notte con lei.

«Sentivo di dover esplorare anche questa opzione, durante la scrittura, ma dopo aver girato le scene precedenti Sean Penn stesso non era convinto di voler fare quell’ultima scena, per rispetto nei confronti di ciò che la protagonista dice poco prima. In effetti poi al montaggio ho scelto un altro finale, ma avevo bisogno di entrambi per scegliere. Mi sono chiesta cosa volessi davvero raccontare. E non era il determinismo del rapporto, anche sessuale, fra uomo e donna. Quando Sean ha visto quale dei due finali avevo scelto mi ha chiamata, per ringraziarmi».

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