Vinnie Marakas
Foto di Lorenzo Ubertalli

Per la nostra rubrica dedicata agli incontri con artisti emergenti del panorama musicale italiano, stavolta parliamo con Vinnie Marakas. Ecco alcune essenziali domande per iniziare ad entrare nel suo mondo

Puoi provare a spiegarci chi è Vinnie Marakas?

Provare a spiegare non rientra nelle facoltà del mago, anzi. Bisogna sapere per poter osare e osare per volare, spiegando, allora sì, le ali ritrovate. Ma infine tacere. Vinnie Marakas è un servitore dell’Idea, che rifiuta di essere autore di un’identità, o titolare di una storia o una biografia. Vinnie Marakas è un nobile viandante, un Marco Polo che da sempre attraversa le città invisibili dell’immaginario.

Cosa, o meglio chi c’è dietro di lui?

“Alle spalle le noie che gravano col loro peso sulla grigia esistenza. Felice chi può con un colpo d’ala vigoroso slanciarsi verso campi luminosi e sereni; e comprende senza sforzo il linguaggio dei fiori e delle cose mute”. Se guardo dietro di me, altro non vedo che la mia ombra.

Come spiegheresti il genere che rispecchia la tua musica, l’Italian Touch?

Non sento questa necessità di definirla veramente in un genere, anche perché come ti ho detto rifiuto di esserne autore. È la musica ad essere Autrice e Genitrice, così come lo sono le idee, i simboli, le visioni. Bisogna lasciare alle parole anche il loro potere evocativo, senza sempre dover andare a sviscerarle con delle definizioni o delle categorie altrimenti si monopolizza il significante deprivandolo della sua forza suggestiva. Italian Touch può voler dire tante cose, un riferimento alla tradizione elettronica e prog italiana, una ripresa di elementi provenienti scena francese degli ultimi vent’anni. Ma ognuno può scegliere quello che gli suggerisce l’istinto. Alla fine della musica conta quello che uno ci sente quando la ascolta.

Pensi che questo genere possa raggiungere il mainstream?

Credo che ci sia in atto la rivalutazione di una certa musica italiana degli anni ’70 e ’80 di cui vengono ripresi alcuni elementi in vario modo, poi ti ripeto, non mi interesso di generi, ancor meno di quello che può essere o diventare mainstream. Mi auguro che possa raggiungere le persone in grado di ascoltare e intuire la Visione. Ma è quest’ultima a guidare, e sceglierà dove portarci.

Cosa ne pensi del dualismo italiano tra indie e trap? Dove si colloca Vinnie Marakas?

Il fatto che ci sia un ipotetico dualismo mi intristisce perché vorrebbe dire che la scena in generale è molto povera, e conforme, ma la verità è che non ne so molto, come ti ho detto. Le influenze che hanno plasmato il progetto vengono da entrambe le parti, ma più in generale dall’hip hop, dalla house, dal prog rock, in certe cose dal punk, dalla new wave. Insomma mi è veramente difficile darti delle coordinate certe. Credo che si possa collocare nella tradizione della musica italiana che ha cercato di sperimentare con elementi misti ibridandoli in qualcosa che rispecchiasse una visione, un’Idea.

Per il tuo EP “Giovane Cagliostro” citi grandi compositori risorgimentali come Boito e Praga. Quanta Italia c’è davvero?

Più che compositori risorgimentali, per quanto abbiano vissuto in quel periodo storico, li chiamerei poeti scapigliati, cantori dissoluti della decadenza di un sistema di valori. Di questo, in Giovane Cagliostro riverbera la malinconia scanzonata, il conflitto tra finzione immaginata e realtà in decadenza, ma non riguarda un qualche tipo di patriottismo o di nostalgia risorgimentale. Lo stesso termine Risorgimento è una finzione storiografica risalente alla propaganda dei Savoia. Era anzi, appunto un periodo di grande decadenza, come lo è questo.

Definisci il tuo Ep “Un’opera simbolista, non solo musicale, che celebra il tramonto degli idoli e della cultura Occidentale come un after party crepuscolare e scanzonato”. Sembra affascinante, ma come lo sono le cose che piacciono senza che ci riesca davvero a capirle. Puoi spiegarci meglio?

Ma, in parte credo di averti già risposto. Non è solo musicale perché vuole suggerire delle immagini, delle evocazioni che trascendono la musica e a loro volta ne sono trascese. È un album che celebra la caduta, il crollo, la frana. Senza tragedia, ma come un meraviglioso incidente, uno spettacolare volo al contrario, cantando sguaiati ai lampioni umidi e scambiandoli per fragili lune elettriche. L’after party è per suo stesso nome quello che c’è dopo, ma che si definisce solo in relazione a ciò che c’era prima. La festa è finita ma nessuno vuole tornare a casa, così continua indistintamente, trascinandosi stanca lungo le sponde del fiume, mentre tutto cade e decade.

Per ascoltare Giovane cagliostro su Spotify, clicca qui.

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Alessio Tommasoli
Chiamatemi pure trentenne, giovane adulto, o millennial, se preferite. L'importante è che mi consideriate parte di una generazione di irriverenti, che dopo gli Oasis ha scoperto i Radiohead, di pigri, che dopo il Grande Lebowsky ha amato Non è un paese per vecchi. Ritenetemi pure parte di quella generazione che ha toccato per la prima volta la musica con gli 883, ma sappiate che ha anche pianto la morte di Battisti, De André, Gaber, Daniele, Dalla. Una generazione di irresponsabili e disillusi, cui è stato insegnato a sognare e che ha dovuto imparare da sé a sopportare il dolore dei sogni spezzati. Una generazione che, tuttavia, non può arrendersi, perché ancora non ha nulla, se non la forza più grande: saper ridere, di se stessa e del mondo assurdo in cui è gettata. Consideratemi un filosofo - nel senso prosaico del termine, dottore di ricerca e professore – che, immerso in questa generazione, cerca da sempre la via pratica del filosofare per prolungare ostinatamente quella risata, e non ha trovato di meglio che il cinema, la musica, l'arte per farlo. Forse perché, in realtà, non esiste niente, davvero niente  di meglio.

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