Un'immagine de L'enfant et l'oie. Credits: Miyu Distribution.
Orvieto Cinema Fest 2022. Un'immagine de L'enfant et l'oie. Credits: Miyu Distribution.

Anche quest’anno, all’Orvieto Cinema Fest, il paesaggio del cinema (breve) d’animazione sa offrirci alcune delle visioni più felici dell’intera rassegna. È il caso, per esempio, del francese L’enfant et l’oie, firmato da Alice Failla, Vincent Lenne, Justine Hermetz, Sophie Lafleur, Jerome Ginesta e Jade Chastan. Ma la presenza di ben sei registi non appesantisce in nulla un corto che vola con la stessa leggerezza dei suoi protagonisti.

Sono infatti, come ci informa il titolo, un bambino e una piccola oca gli eroi di questa classicissima favola d’amicizia. Che però, nei suoi otto minuti, ci rimanda immagini e suggestioni della nostra contemporaneità. Quella di uno sviluppo sempre meno compatibile con la salute (anzi, la sopravvivenza) del nostro pianeta.

Il passaggio (e la presa di coscienza) dei due personaggi dalle tinte dolci di una campagna assolata al rosseggiare infernale di una città inquinata al confine con la distopia è la perfetta (e trasversale alle età) sintesi di una presa di coscienza traumatica. Nel bosco alienante di palazzi sovrastati dalle nubi, tra gigantesche ciminiere, cumuli di rifiuti e i predatori di una natura impazzita, si consuma la fine dell’innocenza di una generazione nata all’alba dell’apocalisse ormai in atto.

Ma l’allarme non si fa resa, anzi ribadisce la fiducia nella vitalità di uno slancio oltre i fumi tossici del presente. Così, i due compagni d’avventure si fanno emblema aereo di un’alternativa di società, di umanità. Fondata sull’incontro tra diversi che riconfigura i modi di essere, sulla (ri)partenza da chi è rimasto indietro. Sulla ricerca inesausta di libertà oltre le corde che tengono legati all’esistente. Su un’energia creativa che riconfigura la materia scartata del ciclo di produzione e consumo. E che, come se Esopo incontrasse Sepúlveda, oppone al tetro copione delle vittime e dei carnefici il gioco di immaginare un’altra Storia.

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Emanuele Bucci
Gettato nel mondo (più precisamente a Roma, da cui non sono tuttora fuggito) nel 1992. Segnato in (fin troppo) tenera età dalla lettura di “Watchmen”, dall’ascolto di Gaber e dal cinema di gente come Lynch, De Palma e Petri, mi sono laureato in Letteratura Musica e Spettacolo (2014) e in Editoria e Scrittura (2018), con sommo sprezzo di ogni solida prospettiva occupazionale. Principali interessi: film (serie-tv comprese), letteratura (anche da modesto e molesto autore), distopie, allegorie, attivismo politico-culturale. Peggior vizio: leggere i prodotti artistici (quali che siano) alla luce del contesto sociale passato e presente, nella convinzione, per dirla con l’ultimo Pasolini, che «non c’è niente che non sia politica». Maggiore ossessione: l’opera di Pasolini, appunto.