
Uscito a dicembre 2022, Living di Oliver Hermanus è un remake del film del 1952 di Akira Kurosawa, Ikiru (Vivere). Forse il termine “remake” fa trillare un campanello di “allarme – potenziale brutto film”. Ascoltatelo perché non suona a vuoto.
Sceneggiatura del premio Nobel Kazuo Ishiguro. Protagonista interpretato da Bill Nighy. Le loro candidature agli Oscar 2023 sono tutt’oggi un mistero da me irrisolto.
Complotto per rovinare una trama
Nella Londra del 1953, Rodney Williams (Bill Nighy), funzionario degli uffici pubblici, scopre di avere un male incurabile. Bazzica timidamente due o tre vizi per cercare di dare un senso alla sua vita, e prima di morire realizza un parco giochi per dei bambini.
Tolta questa trama essenziale, il remake lavora per sottrazione. Ma più spesso per deturpazione. Sparisce la voce iniziale che denunciava la vuota vita dell’impiegato e la sua malattia. Non esiste una vera crisi di coscienza nel protagonista. Mr. Williams, soffre perché sul copione era scritto così. I virtuosismi di montaggio della sua riflessione notturna originale diventano una scenetta sportiva pubblicitaria.
Ridotta e addolcita anche la sua esperienza con la vita notturna e il tentativo di relazione con la collega dell’ufficio, Mrs. Harris (Aimee Lou Wood). Cattiva perfino la gestione del tempo impiegato in questi eventi. Laddove nell’originale era un’incognita (come il restante tempo che Watanabe aveva da vivere) qui platealmente vengono mostrati passare dei mesi.
La sequenza post mortem è il cadavere imputridito e spalmato sull’asfalto della scena originale (che era crudele e grottesca). Priva di mordente e dilazionata in più ambienti. Un’inquadratura di un quarto d’ora di un muro grigio avrebbe trasmesso un messaggio funebre migliore.
Burattini senza fili, facce e funzione
La famiglia, lo scrittore e tutti gli altri: troviamo i personaggi di gran lunga migliorati. L’ipocrita famiglia originale diventa una famiglia da Truman Show, prigioniera di ruoli che non hanno compreso. Povere anime chiuse in un limbo senza espressioni o evoluzioni.
Il figlio è spaesato, senza nessuno scopo nella trama, se non ci fosse il film avrebbe il pregio di durare di meno. La moglie è cattiva perché ogni cosa che dice la qualifica come tale. Nemmeno in una sit-com senza rinnovo vorrebbero una coppia del genere.
Il fu scrittore mefistofelico diventa un diavoletto da spalla alla Paperino. Un signor nessuno che non sa qual è il ruolo o la profondità del suo personaggio. Enuncia le frasi originali riadattate, ma senza alcuna convinzione, e fa esattamente la fine del diavoletto nei corti della Disney. Sparisce.
I colleghi, che con i loro discorsi fanno da coro narrativo, sono delle splendide comari di paese. Scialbi e inutili commentatori di una tragica vicenda che le loro bocche impastano fino a rendere noiosa. Hanno peculiarità da cartone animato. Sfruttiamo l’ultimo arrivato nell’ufficio, il giovane Mr. Wakeling (Alex Sharp), per entrare da neofiti come lui nel mondo burocratico. Un semplice e abusatissimo espediente. La collega più giovane, Mrs. Harris, è una fuggitiva del cast di Call The Midwife. La sua storia d’amore finale con l’ex collega Wakeling è l’adesivo glitterato di un lieto fine che nell’originale non esisteva per nessuno.
Il lato tecnico non aiuta
Ikiru è un film del 1952 che ci dice qualcosa ancora oggi.
Living è un film del 2022 che non ha nulla da dire nemmeno agli anni ‘50.
Si apre con i titoli di testa in un font del periodo rappresentato, musica in sottofondo e inquadrature della città che vive le prime ore del giorno. Geniale intuizione. Sembra quasi una pellicola che festeggia 70 anni. Ma perché è nata vecchia e non ringiovanirà come Benjamin Button. Nel film coabitano vecchie e nuove tecniche di ripresa in un minestrone anacronistico a tratti fastidioso.
Persino la ligia condotta della società giapponese non trova una degna controparte nel aplomb britannico. La musica che sembrava bella e azzeccata diventa nella parte finale invasiva e stucchevole. Si salva solo la fotografia, ma in realtà ci condanna tutti a vedere nitidamente questo orrore.
Bill Nighy e la sua spenta performance attoriale
Takashi Shimura, l’originale burocrate ammalato Mr. Watanabe, fissava sempre il suo male incurabile e con ogni suo gesto sembrava avere in testa la vita mal vissuta. Aveva circa 50 anni, era a metà dell’esistenza e doveva dirgli improvvisamente addio. Nel contempo realizzava che stava iniziando a vivere solo in quegli ultimi istanti.
Bill Nighy ha oltre 70 anni, il suo Williams è prossimo alla pensione ed nel film appare subito come rimpiazzabile. Spento, privo di quella timidezza di chi si approccia per la prima volta al proibito o al vizioso, il suo sguardo è mellifluamente vacuo qualunque cosa faccia. La scena della canzone nel locale, nell’originale malinconica e desolata, diventa il video di un ottuagenario cosplayer di Frank Sinatra. Non impietosisce il personaggio ma provoca pietà per l’attore.
Takashi Shimura dava volto ed emozioni a un uomo insignificante, sotto shock, un Sisifo che riusciva a trovare uno spiraglio di felicità intima e personale. Bill Nighy dà il volto a una bambola amish.
In breve
Non aprite quella sala. Tanti nomi eccellenti non salvano il prodotto finale e purtroppo la speranza di vedere un decente remake di un capolavoro non divampa. Anzi sarebbe stato meglio non avercela mai avuta.
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