Cecilia-Mangini-2017-foto-di-Paolo-Pisanelli
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“Documentare” non consiste nel fissare la realtà unicamente per come si presenta, con occhio meccanico e spirito neutro, senza possibilità di narrazione. Produrre un film documentario richiede un’immersione consensuale che renda partecipi vedente e visto, stabilendo un dialogo quasi sentimentale, al fine di restituire agli occhi il risultato di un’emozione, maturata dal documentarista e accettata dall’oggetto/soggetto scelto per essere raccontato. Un luogo, le abitudini di una famiglia, una guerra; possono dischiudersi alla telecamera senza limitazioni, dando vita alla fissazione storica degli eventi, ed eventualmente, ad un’opera d’arte.

Cecilia Mangini e la sua missione documentaria

Basta avvicinarsi alle opere di Cecilia Mangini per capire di cosa sto parlando. Regista e fotografa italiana nata nel 1927, compagna del documentarista Lino Del Fra (scomparso nel 1997), riversa nella sua “missione” documentaria un’appassionata esigenza di comunicare il reale, con linee pulite e coinvolgimenti intensi.

Dal suo film d’esordio nato dalla collaborazione con Pier Paolo Pasolini, Ignoti alla città (1958), passando per la lucida critica alla condizione femminile degli anni ’60 Essere donne (1965), in un tempo in cui le donne non realizzavano film, tanto mento documentari, fino ad oggi.

Scena tratta dal film Essere donne (1965), diretto da Cecilia Mangini

La stessa indole combattiva si legge nei suoi scatti, di fronte ai quali è possibile decifrare non solo il click di una macchinetta, ma lo specchio di un momento di interazione. Proprio da questi nasce l’idea del documentario Due scatole dimenticate – Un viaggio in Vietnam, realizzato dall’autrice assieme al regista Paolo Pisanelli.

Alternando il racconto cinematografico a quello fotografico, i due registi riprendono la realizzazione di un film mai portato a termine. Due scatole trovate per caso tra vecchi dischi e ricordi, impolverate e colme di negativi di un viaggio in Vietnam tra il 1964 e il 1965, intrapreso da Cecilia Mangini e Lino Del Fra, sono il materiale d’indagine pronto per essere svelato. Evocano una storia vibrante che si infiamma ancora nelle parole della documentarista, sono un simbolo di forza ed impegno politico.

La sua indole instancabile emerge ad ogni parola, la voce ne guida le immagini ricordando pian piano una vita, e facendo esplodere la memoria attraverso un bianco e nero tagliente.

Spilimbergo e gli eventi dedicati all’autrice

Proprio a lei sarà dedicata l’anteprima del Festival di Spilimbergo, Le Giornate della Luce (sesta edizione per l’evento dedicato agli autori della fotografia al cinema) con l’inaugurazione di una mostra intitolata Volti del XX secolo, dove l’autrice ritrae sguardi di artisti e giornalisti, personaggi chiave di una rivoluzione culturale. E stasera, al cinema Miotto, verrà proiettato il documentario Due scatole dimenticate, a cui seguirà un incontro con gli autori.

Pier Paolo Pasolini fotografato da Cecilia Mangini negli anni ’50 – credits: www.corriere.it

Ho avuto l’onore di incontrare Cecilia Mangini in occasione della premiazione finale di Extra Doc Festival, al museo MAXXI, lo scorso 14 luglio. L’emozione di seguirne le parole e lo sguardo che ha descritto oltre 60 anni di storia è qualcosa difficile da spiegare. La sua esperienza rientra nella produzione di una cinematografia fatta di ideali che descrivono un modo di fare film ormai scomparso. Per questo vi consiglio di non mancare stasera, se siete nei paraggi, e di recuperare i suoi documentari. Scoprirete la ricchezza di una memoria opera di un’autrice che non ha mai avuto paura di immergersi nel momento che precede lo scatto.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.

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