In concorso al Torino Film Festival, Moving On, opera prima della regista sud coreana Yoon Dan-bi
Continuando a seguire la 38esima edizione del Torino Film Festival interamente in streaming abbiamo la fortuna di scoprire opere dotate di grande valore, che sono state il mezzo magico per viaggiare e guardare a scenari che da molto ci appaiono sbarrati.
Moving On (Nam–mae–wui yeo–reum–bam) è il debutto cinematografico della regista Yoon Dan-bi. Sud coreana e molto giovane (ha 30 anni), in concorso con il suo film nella selezione ufficiale.
Un inizio autobiografico e denso di sensazioni ed emozioni gentili, che stanno lì senza fare rumore, a raccontare un momento nella vita di una ragazza che guarda dalla finestra verso lo spettatore.
Diventare grande
Quando Okju (Choi Jung-un) è costretta a trasferirsi nella casa del nonno, che non vede da tanto, assieme a suo fratello minore Dongju (Park Seung-jun) e il padre (rimasto solo in seguito alla separazione dalla moglie), non si aspetta molto. È annoiata, scontrosa. Mettere tutte le sue cose nel camioncino del genitore per traslocare all’improvviso non era proprio nei suoi piani.
A causa di problemi economici i tre devono trascorrere l’estate in un luogo in cui si sentono inizialmente estranei. Se per il piccolo è più semplice trovare il suo spazio, per Okju (personaggio biografico che incarna i ricordi della regista) è complesso. Partendo da una vera e propria appropriazione della stanza in fondo alle scale maturerà lentamente una dolce confidenza con la casa, le stanze, gli oggetti e soprattutto con suo nonno.
Si unirà anche la zia dei ragazzi, appena divorziata, al nucleo famigliare che poco a poco trova ritmi e abitudini che fanno del tempo passato insieme un’opportunità di unità desiderata a lungo.
Le luci dell’estate
Le luci che filtrano dalle finestre e illuminano la casa sono le vere luci dell’estate. Non quelle della spiaggia assolata o delle uscite all’imbrunire, ma luci significanti e calde che illuminano le stanze la mattina e si dilungano fino a sera, riempiendo di giallo gli spazi.
Fondamentali sono la fotografia e la composizione, che collaborano alla realizzazione di una visione ordinata della vita familiare che scorgiamo trasparente e realistica. Un pensiero raggiunge lo stesso rigore espresso dalle scenografie e dalle costruzioni in Parasite (del sud coreano Bong Joon-ho), anche se qui ovviamente concorrono ad un senso altro.
La proiezione intima di momenti di crisi (come la mancata vendita delle scarpe false) o di episodi colmi di gioia (come il compleanno del nonno), è volta a ricostruire il senso di appartenenza perduto. Si concedono allo sguardo puri, senza scritture artefatte.
Non servono parole
Okju cambierà profondamente durante i mesi estivi e maturerà una sensibilità che le sarà utile anche per comprendere meglio gli efferati, e necessari, colpi della vita. Sebbene le priorità economiche faranno pressione sugli affetti tra i vari componenti della famiglia, la sua disposizione nei confronti degli eventi maturerà. E come suo padre ricercherà nei sogni la soddisfazione nel constatare che tutto vada per il verso giusto, anche se nella realtà non è così. Anche il lutto e la mancanza hanno senso nei percorsi onirici elaborati dai personaggi.
I vuoti seminati durante il film sono funzionali alla propagazione della memoria, che passa dall’anziano nonno ai figli, fino ai nipoti. La musica li colma ed è meglio di qualsiasi parola perché provoca reazioni diverse a seconda dell’ascoltatore.
Come Okju che rimane ad ascoltare la canzone che il nonno fa risuonare la notte del suo compleanno, noi rimaniamo a guardare la delicatezza di una regia essenziale e ci ritroviamo parte di un’estate, dove sembra che il tempo non passi mai, per poi invece affrettarsi in una fine crudele.
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