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Tre Piani di Eshkol Nevo, Neri Pozza

LE TRE ISTANZE PSICHICHE DI FREUD E I TRE PIANI DI ESHKOL NEVO

Tre Piani di Eshkol Nevo – La trama

Scritto da Eshkol Nevo, Tre Piani è il romanzo drammatico dal quale il regista Nanni Moretti ha tratto il suo ultimo film. Il libro vede protagoniste tre famiglie che vivono rispettivamente in tre piani dello stesso edificio, una palazzina medio-borghese, nei pressi di Tel Aviv.

L’utilizzo ricorrente del numero tre, sia per le famiglie, sia per il numero dei piani, evoca un parallelismo con la ripartizione freudiana dell’Es, dell’Io, e del Super Io. Nevo ci dona un’esperienza letteraria nella quale le tre istanze psichiche di Freud vengono raccontate attraverso le dinamiche e la quotidianità di questi tre nuclei.

La divisione simbolica dei tre piani

Al primo piano risiedono Arnon e Ayalet, una coppia che, per poter ritrovare un’intimità coniugale, si ritaglia del tempo per loro, decidendo di lasciare qualche volta la primogenita Ofri alla coppia di anziani che vivono nell’appartamento situato sul medesimo pianerottolo.

È proprio alla famiglia di Arnon che lo scrittore affida il ruolo dell’Es, l’istanza della mente che Freud descrive come la più irrazionale, quella che rappresenta il puro istinto. Dove i desideri più carnali e le pulsioni irrefrenabili danno libero sfogo al loro soddisfacimento. Emblematica è la narrazione di Nevo nel descrivere l’atto che compie Arnon, che farà capire al lettore quanto sia forte l’Es, e quanto sia potente la forza dell’inconscio esercitata dalla mente sull’essere umano.

Lo scrittore incalza e analizza perfettamente il senso di oppressione che può generarsi nell’uomo che vede reprimersi i propri istinti tanto da fargli commettere cose che (coscientemente) non vorrebbe.

Al secondo piano vive la giovane donna Hani, moglie e madre, che deve fare i conti con la solitudine causata da un marito troppo assente, tanto da essere definita dagli altri “la vedova”. Oltre a far fronte alla presenza ingombrante di una madre affetta da una malattia psichiatrica.

Hani, per alleggerire il senso d’ansia e angoscia che l’affliggono, decide di rifugiarsi in un Mondo inesistente creato dalla sua mente, che la fa stare meglio e che riesce a colmare le lacune presenti nella realtà da lei vissuta. Nevo incarna in questa donna  l’Io, l’stanza dove si manifesta il costante conflitto tra la parte razionale con quella irrazionale. Dove vi è un’alternanza continua tra l’appagamento fuggente ed il senso di insoddisfazione, che crea inquietudine nell’animo umano.

Ed infine c’è il terzo piano dove si trova l’appartamento abitato da una vedova integerrima di nome Dovra, ex magistrato, che a causa dell’estremo rigore e della troppa disciplina, indotta soprattutto dal marito scomparso, anch’esso ex magistrato, ha dovuto accettare il totale distacco dal figlio, perdendo qualsiasi tipo di contatto con lui, per scelta di quest’ultimo.

Ciò che ha mosso il ragazzo a prendere questa decisione è stato il controllo quasi ossessivo dei suoi genitori nel volergli imporre una vita ben lontana dai suoi veri desideri e dalle attitudini, provocandogli uno stato di soffocamento che lo porterà, fin dall’età infantile, a compiere atti di ribellione che creeranno continui danni ai suoi genitori, anche di carattere penale.

Dovra rappresenta il Super Io, l’istanza di Freud più rigida ed integra. Costituita da dogmi e regole impossibili da scardinare, proprio come le Leggi che la donna ed il suo defunto marito hanno applicato per una vita intera, non solo nel lavoro, ma anche nel rapporto genitore-figlio.

L’incontro/scontro necessario delle tre istanze freudiane

La  ripartizione di Freud si è sempre concepita come insita in un’unica persona. Quella che viene offerta da Nevo, invece, è una ripartizione che riesce ad esistere solo attraverso gli altri e che si materializza solo quando ci si racconta ad essi.

L’autore analizza le tre istanze freudiane facendo chiarezza sul fatto che non debbano coesistere necessariamente in un’unica persona, ma che, anzi, esse abbiano un carattere dinamico che consente loro di muoversi liberamente tra lo spazio ed il tempo. Proprio come succede agli stessi personaggi del romanzo, che salgono e scendono per le scale, passando da un piano all’altro della palazzina. Ed è grazie a questo “sali e scendi” di anime e del loro incontrarsi e raccontarsi con gli altri inquilini del palazzo che si manifesta il totale incontro fra le tre istanze: Es, Io e Super Io.

Il racconto come seduta psicoanalitica

Fin dalle prime pagine il romanzo si svolge come una sorta di seduta psicoanalitica che si instaura attraverso il dialogo conoscitivo medico-paziente.

Arnon, inquilino del primo piano, si racconta ad un suo amico confessando diversi problemi di coppia e grandi perplessità in merito alla figlia Ofri.

Dovra, residente al terzo piano, per poter trovare la serenità mentale ha addirittura la necessità di iniziare un dialogo telefonico fittizio con il marito defunto.

Hani, al secondo piano, che inventa storie e racconta eventi, in realtà mai accaduti, lo fa per colmare il silenzio di un dialogo inesistente con il marito costantemente assente.

Tutti i personaggi hanno questa esigenza di raccontare e affidarsi all’altro, considerando ciò un passaggio necessario per ottenere l’equilibrio della personalità, proprio come accade a chi inizia a raccontarsi, sdraiato sul lettino del proprio psicoanalista.

La risoluzione nell’equilibrio di Es, Io e Super Io.

Aldilà dell’incontro/scontro tra Es, Io e Super Io, ciò che dona armonia all’essere umano è il perfetto equilibrio delle tre istanze freudiane e la grande abilità nel saperlo gestire.

SPOILER – Il sorriso finale di Hani, nonostante si nutra di un Mondo immaginario, ma tormentato, la riappacificazione di Dovra con il figlio, solo dopo aver ammesso, durante una conversazione telefonica con il marito scomparso, di aver sbagliato e fallito come genitori, sono tutti eventi dai quali si desume che per lo scrittore la risoluzione della psiche umana non dipende da noi ma dalla perfetta simmetria tra le tre istanze freudiane, e che questa si possa ottenere solo raccontandosi agli altri.

Così, come recita una frase del romanzo: “se non si racconta, non c’è storia”.

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Annamaria Martinisi
Sono il risultato di un incastro perfetto tra la razionalità della Legge e la creatività del cinema e la letteratura. La mia seconda vita è iniziata dopo aver visto, per la prima volta, “Vertigo” di Hitchcock e dopo aver letto “Le avventure di Tom Sawyer” di Mark Twain. Mi nutro di conoscenza, tramite una costante curiosità verso qualunque cosa ed il miglior modo per condividerla con gli altri è la scrittura, l’unico strumento grazie al quale mi sento sempre nel posto giusto al momento giusto.

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