Ci sono due tipi di persone: quelli che scartano i regali di Natale a mezzanotte del 24 dicembre e quelli che ci fantasticano per ore, sotto alle coperte, per aprirli la mattina del 25. Parallelamente esistono due tipi di spettatori natalizi: quelli che proprio in quei giorni spengono tv e piattaforme streaming per dedicarsi alla pasta al forno e alla convivialità e quelli, come me ahimè, che cascasse il mondo, contano le ore per rivedere Una poltrona per due, in televisione, con le pubblicità e l’audio invecchiato, come esperienza immancabile che se avesse la forma di un dolce sicuramente vi avrei citato Proust.
Ma cos’è più propriamente Trading Places oltre a quel film che mandano a ripetizione da anni, ogni sera della Vigilia?
Una poltrona per due/Trading Places è analisi e rilettura della collettività attraverso un gioco delle parti sotto una nuova luce. È fotografia “buffa” di una società dei consumi che convive con la più misera povertà, fianco a fianco, nella città dei sogni: New York (dopo Philadelphia). Racconto di opulenza e miseria in cui burattinai fanno la fine di giocattoli di pezza e in cui le riprese delle Twin Towers si fanno simbolo e diventano immagine-memoria di una fase storica ed economica in tutto il suo splendore, prima dell’annientamento di quell’immagine.
E sicuramente John Landis racconta tutto con il tocco di un “drammaturgo” ispirato (che visti i tempi inserisce quel tot di nudità femminile e di battutacce da prigione), e cita i suoi preferiti, per rapportare il presente (gli anni ’80 dell’uscita del film) all’opera di Mozart, senza sbavature.
Establishing shot a Philadelphia – 1983
Le strade della città, la metropolitana al mattino, le merci arrivano nei negozi e l’allestimento dei prodotti posti in fila per farsi comprare: dicembre a Philadelphia tra i monumenti ancora nella luce grigia prima del sole. In una sequenza che accoglie lo sguardo nel luogo in cui la narrazione avrà vita, con le prime contrapposizioni tra la povertà consumata nella sporcizia e la ricchezza inarrivabile, servita con posate d’argento. Infine, il risveglio di Louis Winthorpe III (Dan Aykroyd), rampollo viziato e ignaro, che non sa cosa lo aspetta. Il tutto in quasi 4 minuti, su un’ouverture che non è una semplice colonna sonora, bensì un commento musicale che completa il quadro contestualizzando anche il tema e il tono del film.
Molto più in uso nel cinema classico, l’establishing shot, è la scena che stabilisce il contesto mostrando dove, e quando, l’azione avrà luogo. John Landis realizza un’intera sequenza per ottenere lo stesso scopo, aggiungendo l’overture tratta dall’opera Le Nozze di Figaro, di Wolfgang Amadeus Mozart. Perché lo fa?
Una poltrona per Mozart
L’opera lirica musicata da Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte (1788) è la scelta ideale per lanciarsi in una raffinata critica sociale, senza la presenza di un dialogo che serva a chiarirne gli intenti. Landis lo sa e la sfrutta intelligentemente.
Le nozze di Figaro mette in scena la storia di due amanti, un servo, Figaro, e una cameriera, Susanna, decisi a sposarsi. Il Conte di Almaviva e la Contessa sono i loro padroni. Nel corso dei quattro atti i due innamorati vengono più volte ostacolati da episodi buffi e tragici al tempo stesso che non fanno che rimandare le nozze provocando incomprensioni tra i due.
Tutti i personaggi vengono delineati come esseri umani tutt’altro che perfetti, e in questo senso la composizione musicale di Mozart li accompagna esprimendo comprensione, non ne giudica mai i gesti incauti, o la voglia di vendetta, è invece un tappeto sonoro che racconta senza prendere posizioni nette. Travestimenti e scambi di ruolo sono consueti nell’opera, e l’analisi del contesto sociale e delle classi che ne guidano le dinamiche, è più che mai collegabile al film del 1983. I “servi” ne escono nobilitati e i “padroni” incarnano attitudini più negative che mettono in crisi le sorti altrui senza provare rimorso.
Ribaltamento di ruoli
Un esperimento tra i fratelli Mortimer e Randolph Duke è la scintilla che riduce in miseria Winthorpe, manipolando la sua vita e scambiandola con quella di un uomo abituato a vivere per strada, Billie Ray Valentine (Eddie Murphy). Influisce più l’ambiente o la personalità? Togliendo tutto al primo e ricoprendo il secondo di ricchezze l’esperimento non dà comunque una risposta matematica, poiché mentre Billie Ray trova una spiccata attitudine per la finanza (avendo preso il posto come agente di scambio) e lascia emergere una gentilezza innata che possedeva anche quando era un senzatetto, Winthorpe manifesta sentimenti estremi e animaleschi e vuole vendetta per uscire dal buco in cui è finito. Inoltre per la prima volta trova una donna che lo ama per quello che è e non per i suoi soldi: Ophelia, “l’amichetta di Shakespeare”, frutto di un altro autore a cui Landis è particolarmente affezionato.
Come nella migliore delle opere buffe ogni malinteso verrà sistemato e tutto andrà per il meglio (un po’ meno per i Duke). Nulla è casuale in Una poltrona per due, tantomeno i riferimenti colti che il regista sceglie di lasciare come tracce per una lettura altra che non è subito visibile agli occhi.
Spero che alla fine di questo pezzo, anche la prima categoria di spettatori natalizi ceda al film, lasciando raffreddare la cena.
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