Zorba il greco, film di Michael Cacoyannis (1964). Ex distribuzione 20th Century Fox
Zorba il greco, film di Michael Cacoyannis, 1964. Ex distribuzione 20th Century Fox (oggi Searchlight)

Il 14 dicembre 1964 in Grecia (e tre giorni dopo a New York) debuttò il film di Michael Cacoyannis, Zorba il greco, con protagonisti Alan Bates e Anthony Quinn. Nel 2024 sono 60 anni dalla distribuzione in sala di questo capolavoro del cinema greco.

Adattamento del romanzo omonimo di Nikos Kazantzakis, il film è un saggio sulla cinica felicità del vivere senza doveri e senza preoccupazioni convenzionali, ma anche sull’atrocità del mondo e della società con cui l’umanità ha a che fare tutti i giorni.

Nel ventre della Madre Terra

Basil (Alan Bates) è in attesa al porto del Pireo di Atene per imbarcarsi per Creta, dove ha dei terreni di sua proprietà, tra cui una vecchia miniera di lignite che vorrebbe rimettere in funzione. Qui incontra un uomo di mezza età di nome Alexis Zorba (Anthony Quinn) che si offre di servirlo durante il viaggio. È un musicista, ma ha fatto i lavori più disparati e vissuto tante esperienze diverse che lo hanno reso un “folle saggio”, un uomo carismatico e nel contempo cinico, capace di destreggiarsi fra mille idee e mille avventure. Durante l’esperienza sull’isola il giovane intellettuale e scrittore Basil verrà travolto dalla personalità e dalla vitalità di Zorba.

Del film, oltre la prova attoriale di Quinn, restano memorabili i due ritratti femminili di Irene Papas, musa e collaboratrice del regista, nei panni della Vedova, e di Lila Kedrova nei panni di Madame Hortense, rinominata da Zorba “Bouboulina”, come la patriota greca dell’Ottocento.

Il romanzo originale è ricco di riflessioni filosofiche di Basil, che matura artisticamente e personalmente e la cui crescita personale è il filtro attraverso cui conosciamo e infine perdiamo Zorba. Il film, al contrario, è più asciutto, ricco di scene che ricordano i lavori di antropologia visuale e di cinema etnografico. Affronta la ritualità arcaica della vita contadina greca attraverso cui Zorba si muove con disinvoltura, ma che segnerà lo spettatore, soprattutto chi guarda il film per la prima volta, con due tra le scene più tragiche (e grottesche) mai filmate nella storia del cinema.

Basil: “Beh, Zorba, che Dio ci assista.”
Zorba: “Anche il diavolo.”

La visione e l’ascolto

Michael Cacoyannis (1922-2011), all’epoca cineasta noto per i suoi melodrammi moderni (Stella, cortigiana del Pireo, 1955; Ragazza in nero, 1956) e per gli adattamenti delle tragedie greche (Elettra, 1962), dimostrò con questo film la sua poliedricità come regista.

Zorba il greco, infatti, si può definire una tragicommedia. Le parti più drammatiche, grazie allo stile asciutto, crudo e realistico, impediscono al film di diventare romanzesco. Fungono da contraltare alla vitalità di Zorba che nella sua “lucida follia” è comunque un uomo che conosce bene la ferocia del mondo, e che è disposto a combatterla ma senza restarvi impantanato.

Il film è divenuto un’opera di culto soprattutto grazie alle musiche del grande compositore Mikis Theodorakis, autore della danza di Zorba, o Sirtaki, così popolare e amata dai greci da diventare una tradizione acquisita.

Theodorakis scrisse anche le colonne sonore di Z (1969) di Costa-Gavras e Serpico (1973) di Sidney Lumet, oltre che un ciclo di quattro arie sull’Olocausto noto come La ballata di Mauthausen.

Zorba il magnifico

Il vero protagonista dell’opera, Alexis Zorba, è un Dean Moriarty mediterraneo, un personaggio che ha le sue radici nell’esperienza biografica dello scrittore Nikos Kazantzkis e nel suo incontro in giovane età con il marinaio George Zorbas, ma anche nella formazione intellettuale del romanziere stesso, il più grande scrittore greco del Novecento, autore anche del controverso e filosofico L’ultima tentazione di Cristo (1955), adattato da Martin Scorsese nel 1988.

Zorba è figlio di quei servi della commedia dell’arte, come Scapino o Arlecchino, che aiutano i loro giovani padroni attraverso mille peripezie amorose e non, insegnandogli la durezza della vita comune. È tuttavia al contempo una figura quasi mitica (e mistica): demoniaco e manipolatore come il Mefistofele faustiano, e spensierato e legato alla dimensione concreta e materiale della vita come le ninfe o i satiri dei miti greci.

Zorba vive in un mondo in cui si affaccia la nuova mitologia capitalistica, ma in cui sono ancora presenti tracce architettoniche, naturali e sociali di antiche tradizioni ed epoche storiche (peculiarità soprattutto europea e mediterranea). Domina questo mondo elevandosi al di sopra del dualismo tra sacro e profano, in quanto figura che rifiuta prima di ogni cosa l’adesione alle convenzioni sociali di ogni tipo, pur avendoci avuto a che fare personalmente (il nazionalismo, la guerra, il matrimonio).

È un uomo in fuga dal mondo, o meglio, è in fuga da quella parte del mondo che ha pronto per lui un ruolo in cui ingabbiarlo e farlo morire, e nel contempo è un uomo che si getta in pasto ad esso, soprattutto a quella parte rigogliosa e succulenta che un epicureo come lui è sempre pronto a cogliere per poi fuggire.

“Ho fatto cose per il mio Paese che ti farebbero rizzare i capelli. Ho ucciso, bruciato villaggi, violentato donne. E perché? Perché erano turchi e bulgari. Ecco il pazzo fanatico che sono stato. Ora guardo qualunque uomo, e dico: “È cattivo. È buono”. Che mi frega se è turco o greco? Invecchiando, lo giuro sul pane che mangio, non me lo chiedo nemmeno più. Buoni o cattivi. Che differenza c’è? Finiamo tutti allo stesso modo…”
Zorba

Non è Hollywood (Spoiler)

I nomi altisonanti che vi figurano potrebbero suggerire che si tratti di una grande produzione, o di una collaborazione internazionale tra Stati Uniti e Grecia.

In realtà il film ebbe un budget che non raggiungeva neanche il milione, ma sfruttava la poliedricità di un attore come Anthony Quinn, capace di risultare credibile tanto nelle grandi produzione statunitensi di Elia Kazan (Viva Zapata!, 1952) e Vincente Minnelli (Brama di vivere, 1956) quanto in un film atroce e crudo come La strada (1954) di Federico Fellini. Unito a questo, il film intercettava una serie di discorsi intellettuali dell’epoca, soprattutto di carattere antropologico sociale e culturale.

È facile trovare le tracce degli scritti di Ernesto De Martino sul Sud Italia, la magia e la religione, nell’episodio del “miracolo del bosco”. Così come è facile rivedere nelle tragiche morti della Vedova e di Madame Hortense quella feroce e sanguinaria innocenza che gli intellettuali dell’epoca attribuivano alle classi sociali meno colte e meno progredite, dai popoli del Terzo Mondo al sottoproletariato urbano, fino ai contadini delle zone nazionali meno sviluppate.

La chiusa mentalità retrograda e paesana, che noi italiani possiamo trovare illustrata in molti grandi film (Cristo si è fermato a Eboli, 1979; Malèna, 2000), viene resa figurativamente attraverso volti scavati dal tempo e da un’arcaica ferocia, ed è trasmessa verbalmente attraverso frasi in greco moderno non tradotte o sottotitolate, che acquistano lo status di parole magiche.
Lo spettatore si muove tra parole che non comprende e volti che lo destabilizzano per il realismo impattante che vi ritrova: le facce contadine presenti in Zorba il greco potrebbe rivaleggiare con i cataloghi fotografici di Diane Arbus o Sebastião Salgado.

In breve

Zorba il greco è un film meraviglioso, capace di affascinare lo spettatore ancora oggi. La maestria recitativa di Anthony Quinn nell’interpretare questo spirito libero rimane una delle più grandi prove attoriali della storia del cinema. Il piacere estetico e antropologico che sprigiona la visione di quest’opera è ancora fresco come lo era in quel dicembre del 1964 quando fu visto la prima volta.

“Ehi Capo! Avevi mai visto una catastrofe più splendida?”
Zorba

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Francesco Gianfelici
Classe 1999, e perennemente alla ricerca di storie. Mi muovo dalla musica al cinema, dal fumetto alla pittura, dalla letteratura al teatro. Nessun pregiudizio, nessun genere; le cose o piacciono o non piacciono, ma l’importante è farle. Da che sognavo di fare il regista sono finito invischiato in Lettere Moderne. Appartengo alla stirpe di quelli che scrivono sui taccuini, di quelli che si riempiono di idee in ogni momento e non vedono l’ora di scriverle, di quelli che sono ricettivi ad ogni nome che non conoscono e studiano, cercano, e non smettono di sognare.