Roger, protagonista di Angry Alan (nuovo spettacolo, dal testo di Penelope Skinner, della rassegna online Trend, Teatro Belli) ha 54 anni. E da un po’ di tempo si sente «inadeguato, un fallito». Specie da quando la crisi economica del 2008 ha provocato il suo licenziamento. Specie da quando ha divorziato e alla sua ex moglie Susan (cui deve pagare gli alimenti) sono stati affidati i figli. E da quando va meno d’accordo con la sua nuova compagna, Courtney, dopo che quest’ultima ha cominciato ad interessarsi di femminismo e gender studies.

Ma forse Roger inadeguato e fallito lo si sente da tutta a vita. Dai tempi della scuola, quando la ragazza di cui era innamorato preferiva il bullo che la maltrattava a lui, ragazzo «troppo perbene» per interessare oltre i limiti dell’amicizia. Roger è un uomo medio e mediamente contraddittorio, tutt’altro che un potenziale femminicida o stupratore. Eppure, anche Roger è un (inconsapevole?) fautore e componente della marea oscura di un nuovo, inquietante odio per le donne che cova nella società occidentale.

Perché a nutrire, manipolare e incanalare verso il genere femminile tutta la rabbia e la frustrazione dell’americano piccolo piccolo che è Roger, arriva Angry Alan, guru del neomaschilismo (travestito da sedicente “Movimento per la Difesa dei Diritti degli Uomini”) al tempo dei social.

E come il più subdolo dei leader populisti 2.0, Angry Alan mescola abilmente fake-news, dati estrapolati fuori contesto, problemi reali distorti dalla demagogia e opinioni adatt(at)e ai (mal)umori dei suoi follower.

La complessità e altri demoni

Naturalmente, noi non vediamo mai Angry Alan per tutta la durata dello spettacolo. E non vediamo donne, né altri uomini all’infuori di Roger, ovvero Marco M. Casazza, protagonista e regista del monologo di circa un’ora. È la solitudine, non a caso, a segnare dall’inizio alla fine la figura di Roger. La messa in scena asciugata fino all’essenzialità lo sottolinea: Roger/Casazza è solo, nel suo raccontarsi-confessarsi a un pubblico che non c’è (qui letteralmente, essendo in streaming), seduto su una seggiola da bar o con in mano un vano microfono per scandire il suo diario di ordinarie (in)sicurezze.

Non a caso lui, come altri, cerca anche (e soprattutto) una sorta di «fratellanza» nel movimento-setta di Angry Alan (e di chiunque si nasconda dietro tale nome-personaggio). Il quale, da bravo psicologo delle masse, sa che nulla unisce più di un capro espiatorio. Ovvero, in questo caso, le donne, il loro «complotto» per costruire una società «ginocentrica» dove il maschio sia colpevolizzato in quanto tale. Anche se il vero nemico di Roger, e degli altri adepti di Angry Alan, sembra essere la complessità (sostantivo femminile, guarda caso).

«Tu semplifichi sempre le cose», rimprovera Courtney a Roger, che proprio non riesce a mandare giù il fatto che una donna emancipata e femminista possa al contempo essere attratta da un film come 50 sfumature di grigio.

Sono le sfumature, appunto, che destabilizzano Roger (e tanti come lui). I gradi intermedi di una realtà dove vengono (finalmente) rimessi in discussione i vecchi paletti che circoscrivono le identità, gli orientamenti e le esistenze in comode, rassicuranti categorie. Una complessità che risulta tanto più inaccettabile nell’insicurezza sociale del presente, altro tema dell’acuto testo di Skinner, che ci ricorda come la questione di genere sia inseparabile da quella di classe. Non per nulla lo spettro del trumpismo (certo non esorcizzabile con un’elezione presidenziale) viene esplicitamente richiamato nei video, altro ingrediente fondamentale della rappresentazione.

Marco Casazza, regista e protagonista di "Angry Alan". Credits: Trend/Teatro Belli.
Marco Casazza, regista e protagonista di Angry Alan. Credits: Trend/Teatro Belli.

Dove si nutre l’abisso

Lo spettacolo è allora una fotografia perfetta (condita di graffiante ironia), scattata dall’interno, di un genere maschile pericolosamente in crisi come la società in cui è calato. Dove gli stereotipi sessisti che gli Angry Alan (e i Trump, e…) rilanciano sono proprio quelli che distorcono e opprimono la psiche dei Roger. Dalla vergogna di mostrare le proprie emozioni all’imperativo socioculturale secondo cui è necessariamente l’uomo quello (e l’unico) che “porta i soldi a casa”.

Viceversa, è nei non-dialoghi con le (invisibili) figure femminili che paiono aprirsi per il protagonista spiragli di verità e alternativa in grado di incrinare le sovrastrutture che si porta dentro e la fosca retorica che le nutre. Ma le sfumature fanno (troppa) paura, e prendersela «con chi la società la comanda davvero» (come è esortato a fare Roger dalla giornalista) non va più di moda da un pezzo. Intanto, la folla applaude Angry Alan, le sue risposte semplici e terribili. L’abisso continua a crescere.

Per qualsiasi informazione visitate il sito ufficiale .

Continuate a seguire FRAMED per gli aggiornamenti del cartellone in streaming, resistente, del Trend.

Emanuele Bucci
Gettato nel mondo (più precisamente a Roma, da cui non sono tuttora fuggito) nel 1992. Segnato in (fin troppo) tenera età dalla lettura di “Watchmen”, dall’ascolto di Gaber e dal cinema di gente come Lynch, De Palma e Petri, mi sono laureato in Letteratura Musica e Spettacolo (2014) e in Editoria e Scrittura (2018), con sommo sprezzo di ogni solida prospettiva occupazionale. Principali interessi: film (serie-tv comprese), letteratura (anche da modesto e molesto autore), distopie, allegorie, attivismo politico-culturale. Peggior vizio: leggere i prodotti artistici (quali che siano) alla luce del contesto sociale passato e presente, nella convinzione, per dirla con l’ultimo Pasolini, che «non c’è niente che non sia politica». Maggiore ossessione: l’opera di Pasolini, appunto.