Babylon, Paramount Pictures
Babylon, Paramount Pictures

Damien Chazelle torna con quello che è il dark side di La La Land, Babylon mostra il lato oscuro della logorante ed estrema corsa al successo in uno scenario che dagli anni ’20 arriva fino ai primi ’50. Visivamente accecante (in senso buono), coreograficamente appariscente, fin qui sembrerebbe una storia da lustrini negli occhi alla Baz Luhrmann, ma non lasciatevi ingannare: al centro del grande spettacolo c’è il cinema, la macchina dei sogni di cui chiunque vorrebbe far parte, nel bene e nel male.

La decadenza raccontata è uno velo nerissimo sovrapposto come ombra sul “magico” mezzo, più precisamente un elemento onnipresente che ne è parte fin dagli albori, che tende a fagocitarlo, che si nasconde con astuzia dietro al risultato: il film. Quella di Chazelle non è solo una critica ma l’ammissione di un dato di fatto, per quanto tale decadenza esista non possiamo fare a meno del cinema, perché è oltre la vita stessa, perché è la nostra vita.

Il prologo

1926 – Il trasporto eccezionale di un elefante per una festa esclusiva, sporcizia polvere fatica, poi l’arrivo alla villa dove l’animale sarà il colpo di scena di un evento in cui un ragazzo messicano di nome Manuel “Manny” Torres (Diego Calva) lavora come tuttofare. Perversioni di ogni tipo e forma animano l’abitazione maestosa del produttore esecutivo dei Kinoscope Studios: lo spettacolo si muove sia sopra che sotto il palco, dove un baccanale orgiastico imperversa a ritmo di musica.

Attrici e attori, ballerini e contorsionisti, registi, produttori, musicisti: tutti gli ingranaggi del cinema degli anni ’20 sono lì ad inebriarsi tra gli eccessi del sesso e di allucinati viaggi trascendentali, quello è il mondo del cinema e mentre Manny cerca di dileguarsi tra una giornalista curiosa e un’attricetta in overdose, pensa solo di volerne fare parte.

L’incontro inaspettato con Nellie LaRoy (Margot Robbie) è la ciliegina sulla sua torta immaginaria di futuro successo, l’aspirante diva infatti è lì per farsi notare e come lui vuole far parte di qualcosa di più grande (e meno deludente) della vita reale. Ma come fare?

Quella festa cambierà l’esistenza di entrambi, li allontanerà, li trasformerà. Chazelle insinua una linea narrativa romantica mentre senza ritegno ci sta provocando mostrando quel sudicio e sfrenato sottostrato umano. Vuole aprirci gli occhi, vuole farci credere al sogno malato. Poi il titolo BABYLON compare sullo schermo, e lui ha tutta la nostra attenzione.

Babylon, Paramount Pictures.

Atto primo: l’ascesa

Nel prologo incalzante compaiono già tutti i personaggi parte della Babilonia del cinema: la cantante cabarettista di origini cinesi Lady Fay Zhu (Li Jun Li), che di giorno scrive le didascalie per i film e di notte si esibisce in sensuali performances, il trombettista jazz afroamericano Sidney Palmer (Jovan Adepo) e l’attore di successo Jack Conrad (Brad Pitt). Ma mentre i primi due non se la passano benissimo a livello economico quest’ultimo vive nel lusso sfrenato e insensato di una star di Hollywood.

Manny attira l’attenzione di Jack che lo porta sul set solo perché “gli piace”, lo stesso accade a Nellie, presa per recitare in qualche scena dopo essersi fatta notare alla famosa (una tra le tante) festa degli eccessi dell’inizio. È per caso che entrambi arrivano al set, ma difenderanno quel traguardo con le unghie e con i denti. Mentre lui fa di tutto per soddisfare le bizzarre richieste che registi, attori e produttori gli fanno, lei gioca a fare la vamp con una scollatura maldestra o un ammiccamento seducente, mostrando però di saper interpretare con intensità ciò che le viene chiesto.

Nel mezzo della loro ascesa ci sono gli anni d’oro del cinema muto. La costruzione di un’emozione si ottiene attraverso un’espressione del viso o un gesto, il tutto intervallato da quelle didascalie che professionisti come Lady Fay Zhu scrivono per attori che forzano la mano con la teatralità della loro recitazione.

Li Jun Li è Lady Fay Zhu in Babylon, Paramount Pictures.

Atto secondo: perdere tutto

Ogni cosa è concessa per salire i gradini ripidi della scala del successo, la prima regola per intraprenderla è essere la persona giusta al momento giusto, ma se in più c’è un pizzico di testardaggine e un po’ di bravura la tua faccia sarà su tutte le copertine. Da quella scala però si deve ad un certo punto scendere, sta a chi lo fa decidere se tornare indietro senza essere visti o in picchiata con un grande tonfo finale.

Manny sale di livello nello studio system, acquista fiducia da parte di chi lavora con lui, Nellie diventa un’attrice di punta. Sembra che abbiano realizzato i propri sogni quando, prima di una grande rivoluzione, i loro destini si incrociano di nuovo. Verso la fine degli anni ’20 una sensazionale invenzione sconvolge il mondo dell’intrattenimento: il cinema sonoro spazza via didascalie, silenzi musicati e mosse esagerate. Recitare diventa un lavoro nuovo, anche per chi come Jack Conrad è comparso in decine di film muti. La voce, improvvisamente, è uno strumento da saper usare e un problema, non solo per gli attori ma anche per chi deve scrivere i dialoghi delle storie che verranno proiettate.

Cambia il cinema e cambia la società che lo venera. L’euforia senza limiti che prima lo caratterizzava si ridimensiona e i malesseri da sempre soffocati iniziano ad ingigantirsi. Così la favola trova nuovi protagonisti e quelli vecchi si nascondono tristemente dietro al loro ricordo. Come Nellie, non più it girl ma ora considerata volgare e incompetente, schiava del gioco d’azzardo e della droga. La nuova Hollywood è meno libertina e più ipocrita e razzista. I più lucidi tra i personaggi presentati una decade prima lasceranno quel mondo, gli altri ne verranno risucchiati senza pietà.

Intermezzo: all’inferno

Gli eccessi, la perversione, le dipendenze e la depressione diventano mostri annaspanti nascosti sotto al tappeto, o in questo caso in un tunnel sotterraneo stratificato come nei gironi infernali. Manny e Nellie sono di nuovo insieme, lui cerca di risollevare la reputazione dell’attrice mentre lei si perde nei debiti e nella dipendenza.

A Chazelle non basta, il film cambia registro, l’orrore si insinua nei gloriosi resti di ciò che rimane della festa del prologo e di tutte le “vittime” del moralismo. Quando Manny prova a salvare la vita di Nellie incontrando il gangster James McKay (un perturbante ed efficace Tobey Maguire) la visione del luogo in cui un vero e proprio circo degli orrori ha sostituito la fame di spettacolo del pubblico capirà che il cinema non è più quel sogno perfetto.

SPOILER – Se la morte è la soluzione ideale per alcuni, altri scelgono di accettare l’oscurità, e vi danzano attraverso perdendosi nell’oblio, come Nellie. Manny, risparmiato dall’uomo che James aveva mandato per ucciderlo, lascia Los Angeles.

Tobey Maguire è James McKay in Babylon, Paramount Pictures.

Conclusione: il cinema (spoiler)

1952 – Il passare degli anni ha cambiato la faccia del mondo, dopo la guerra, la lontananza, c’è una nuova vita: Manny torna a Los Angeles con la moglie e la figlia. Non va al cinema da tanti anni, la città è popolata dai fantasmi di chi ricorda amico e da storie incredibili divenute ormai leggende, ricordi.

Sceglie un film, Singin’ in the Rain, un musical che racconta la trasformazione dell’industria cinematografica nel passaggio dal muto al sonoro. Tra le risate degli altri spettatori c’è il pianto disperato di Manny, che riconosce nell’ironia del musical di Gene Kelly e Stanley Donen la sua vita, i compagni d’avventura, Nellie e il successo distrutto, Jack e i titoli in copertina che ne massacravano la carriera. Manny sa cosa hanno passato le donne e gli uomini dentro al cinema per arrivare a quel punto.

La macchina da presa si sposta leggera dal suo volto al resto del pubblico, si posa sugli sguardi concentrati, sui sorrisi. Non una tiepida carrellata per evidenziare il piacere di “osservare le facce degli altri spettatori nel buio”, ma il preludio alla sequenza più intensa di Babylon. Un montaggio esplosivo di inserti di film che attraversano il corso del secolo: dal cinema classico a quello moderno, il cinema sperimentale e quello d’arte, Matrix e la nuova frontiera della tecnologia, Avatar di Cameron e Persona di Bergman, stridenti, complici, uniti in un legame indissolubile. E poi il colore puro, l’aggressività punk e fluo della sua forza visiva. E vortici pittorici, annientamento dell’immagine (che ricordano i blow-up pittorici di Antonioni).

Anti-hollywoodiana, in controtendenza, sporca e poetica, questa è la dichiarazione finale di Chazelle. La macchina da presa torna su Manny, Gene Kelly sta cantando I’m happy again, le lacrime si trasformano in un sorriso.

Il cinema non è morto, il cinema è la nostra storia. Nonostante tutto, il cinema siamo noi, che cambiamo con lui, incessantemente.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.

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