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Il Signore degli Anelli - La Compagnia dell'Anello, Medusa Film

Il Signore degli Anelli è una saga a cui sono legatissima, fin da quando ero piccola. Avevo nove anni quando uscì nelle sale il riadattamento del capolavoro di Tolkien e mi ricordo benissimo che ero a letto con l’influenza. La mattina dopo, mia mamma si precipitò nella stanza e mi disse: “Sbrigati a guarire, che ti portiamo al cinema a vedere una cosa bellissima”. Mia madre non è il genere di persona che si entusiasma tanto per i film, men che meno per la prospettiva di andare al cinema. Per quello la cosa mi stupii fin da subito. Ma poi, quando finalmente guardai Il Signore degli Anelli – La compagnia dell’Anello per la prima volta, capii il perché di tanto entusiasmo. Lì, nel buio della sala, assistetti a una vera e propria magia. Vidi una storia epica, in grado di emozionarmi e commuovermi. 

Da bambina ero molto paurosa. Mi terrorizzava la Strega di Biancaneve, per dirne una. E non c’era la minima possibilità che potessi guardare qualcosa di vagamente horror. Eppure lì, davanti a creature terrificanti come il Balrog, o gli Orchi, non battei ciglio. Come se fossi troppo incantata dalla magia di quella storia meravigliosa. 

Il Signore degli Anelli – La compagnia dell’Anello

Una storia meravigliosa, un viaggio nell’Impossibile

Tolkien è riuscito a dare vita a un universo narrativo in grado di costituire le basi del fantasy moderno. Ma oltre a questo, ha incantato migliaia di lettori a distanza di generazioni. Ed è incredibile come sia ancora attuale. Certo, non era fra i suoi obiettivi quello di creare personaggi “credibili”. D’altronde, Aragorn è un cavaliere senza macchia, strenuo difensore dei deboli. Non ha mai nessuno scivolone, nessuna debolezza per tutta la trilogia. Anche Gandalf è il Bene per eccellenza. E dopo una tremenda lotta contro il Balrog, una creatura che sembra vomitata direttamente dagli Inferi, muore per poi rinascere a nuova vita, divenendo lo Stregone Bianco. E anche lui, come il suo manto, è candido e privo di debolezze umane. Ma questo non impedisce ai personaggi tolkeniani di essere meno vividi nelle nostre menti. Come protagonisti di un racconto epico, non devono necessariamente avere un approfondimento psicologico. Ciò che conta davvero è la storia che si snoda per pagine e pagine, tenendoci incollati.

Non serve farsi troppe domande: bisogna solo lasciarsi andare e immergersi nelle meravigliose atmosfere create dal libro. Perché Il Signore degli Anelli è un viaggio anche per noi. Camminiamo al fianco di Frodo in ogni momento, fin dall’inizio. Gli siamo accanto quando lascia la Contea, quando rischia la vita inseguito dai Cavalieri Neri. Seguiamo i suoi passi fino alla fine, in cima al Monte Fato. E piangiamo di commozione quando lo vediamo andare via, su quelle navi che lo porteranno lontano dalla terra di Mezzo. D’altronde ha sofferto troppo. Ha visto troppe cose, per poter continuare a vivere normalmente. Ha sentito su di sé il peso di un fardello che molti non sentiranno mai, neanche alla fine della loro vita. 

L’eccezionale adattamento di Peter Jackson

Il regista neozelandese Peter Jackson si è fatto carico di un pesante fardello, giusto per rimanere in tema. Come rendere giustizia a un simile capolavoro? Certo non era un’impresa facile, anche perché le aspettative erano davvero molto alte. Nel 1978 si era già fatto un tentativo di adattamento per lo schermo, ma con scarsi risultati. Il cartone animato, infatti, non ottenne il successo sperato e la casa di produzione non diede il consenso per ultimarlo. Il primo film, dunque, si interrompe bruscamente dopo la Battaglia del Fosso di Helm. Ma perché questo flop? A ben guardare, è molto fedele al libro, decisamente più del film di Jackson. Il punto però è proprio questo: ciò che conta non è riprodurre fedelmente un’opera d’arte, ma riprenderne le atmosfere e reinterpretarle. E Peter Jackson ha fatto proprio questo.

È riuscito a cogliere l’essenza della Trilogia, cercando però l’opportuno adattamento al grande schermo. Quando si “porta” un libro al cinema, bisogna tenere conto di moltissimi fattori: il tipo di pubblico, quanto delle scene descritte possa essere funzionale al cinema, l’accessibilità dei dialoghi e dei contenuti. Insomma, non è un lavoro facile. Ma Jackson è riuscito nella rarissima impresa di adattare un racconto epico alla logica del blockbuster, senza che nessuno “si facesse male”. Anzi, i toni epici del libro sono rimasti intatti. Chi può dimenticare il meraviglioso discorso di Re Theoden prima della carica di cavalleria nei Campi di Pelennelor? O la gloriosa morte di Boromir redento?

Una saga scolpita nella nostra mente, a distanza di anni

È incredibile come una trilogia cinematografica che compie vent’anni sia ancora così attuale. Nonostante la CGI e gli effetti speciali in generale abbiano fatto passi da gigante negli ultimi anni, Il Signore degli Anelli è invecchiato spaventosamente bene. Neanche fosse Dorian Gray. Poi, alla meravigliosa fotografia aggiungiamo anche la splendida colonna sonora e il gioco è fatto. Non lo dico da fan sfegatata: è davvero difficile trovare dei difetti in questa saga straordinaria. Anche perché riguardarla fa bene al cuore ogni tanto, soprattutto in periodi bui. In quei casi la situazione sembra essere disperata, mi torna in mente il discorso che Sam fa a Frodo: “C’è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. È giusto combattere per questo“. 

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