La Procedura, Luigi Montebello, Rai3
La Procedura, Luigi Montebello, Rai3

Huntsville, Texas – Luigi Montebello, regista e documentarista, per realizzare La Procedura, si reca nel luogo dove si erge la Huntsville Unit. Una prigione, la più antica dello Stato, che risale al 1849, le cui mura nascondono la “death house”, il piccolo edificio in cui l’iniezione letale attende i condannati.

Una serie di personaggi rispondono alle sue domande, da Jim Willet, ex-direttore della Walls Unit, a Buster McWhorter, guardia carceraria incaricata di legare il condannato alla barella, che ha partecipato a ben 197 esecuzioni. Le testimonianze che raccoglie restituiscono le sensazioni e i pensieri di una comunità profondamente segnata dalla pratica della pena di morte. Ad Huntsville, su 35.000 abitanti 9.000 vivono dietro le sbarre, distribuiti tra le 5 prigioni presenti in città.

La ricerca di Montebello porta a esplorare i risvolti e le zone d’ombra di un mondo che ruota attorno a una procedura raramente raccontata con tale equilibrio. Entrando in contatto con alcuni degli attori principali, rileva traumi mai esternati, dubbi, implicazioni umane che raramente vengono prese in considerazione o semplicemente affrontate.

La Procedura, Luigi Montebello, Rai3

La Procedura è uno dei reportage esclusivi realizzati come edizioni speciali de Il Fattore Umano, la serie di reportage giornalistici (ideata da Raffaella Pusceddu e dallo stesso Luigi Montebello) sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, prodotta da RAI Direzione Approfondimento e in onda su Rai 3 dal 2021. Arrivata alla quarta stagione, tornerà in onda dal 7 gennaio 2025 con 8 nuovi episodi, alle 23.15 su Rai3. Qui l’intervista all’autore Luigi Montebello.

L’intervista

Le interviste che hai realizzato mostrano il lato più umano dei protagonisti del reportage (specialmente il boia): qual era il tuo obiettivo a livello di rappresentazione e come sei riuscito a ottenere la loro fiducia?

Acquisire la fiducia di una persona, specialmente di chi ha un’urgenza di raccontarsi, spesso richiede meno di quanto si possa pensare. I boia che ho intervistato avevano un forte bisogno di esprimersi, e già nelle prime lunghe conversazioni telefoniche si erano aperti molto. Questo è stato fondamentale, considerando che non avevamo il tempo o i mezzi per fare numerosi sopralluoghi. Il mio obiettivo era rappresentarli senza pregiudizi, senza giudicarli, permettendo a loro stessi di delineare i confini del mondo in cui vivono, un mondo molto diverso dal nostro.

Avevo pianificato di fare almeno una lunga intervista con ciascuno di loro, quasi come una seduta psicanalitica, per cercare di comprendere più a fondo il loro vissuto. Tuttavia, queste interviste sono state realizzate solo alla fine del processo. Prima abbiamo filmato situazioni più spontanee, descrivendo le loro vite nel contesto del piccolo paese in cui stanno.

Devo anche dire che, avendo già realizzato vari documentari negli Stati Uniti, tra cui uno sulla gentrificazione dei quartieri afroamericani, il fatto di essere italiano mi ha avvantaggiato. In qualche modo mi vedevano come una figura esterna, non intrappolata nelle dinamiche politiche e sociali divisive che caratterizzano il loro Paese. Non ero il giornalista del New York Times arrivato lì per metterli a nudo, né facevo parte di un sistema di appartenenza etnica o politica. Questo mi ha permesso di presentarmi come una sorta di “tela bianca”, su cui si sentivano più a loro agio nel raccontarsi.

La Procedura, Luigi Montebello, Rai3

Che tipo di esperienza hai vissuto nel periodo in cui sei stato in Texas?

Arrivare a Huntsville è stato straniante. L’atmosfera di questa cittadina, fortemente legata al sistema carcerario, è cupa e opprimente. Sembra che tutta l’area esista per un solo scopo: accogliere coloro che hanno infranto le regole della società e sono finiti in prigione. La maggior parte della popolazione locale lavora nelle carceri, creando una sorta di microcosmo chiuso.

Raccontare queste storie può farti precipitare in un piccolo baratro di angoscia e depressione, soprattutto perché nei dintorni non c’è praticamente nulla da fare. È una zona priva di svaghi, dove la vita sembra limitarsi ai fast-food e alle prigioni. Ricordo perfettamente la sensazione che abbiamo provato, io e Tommaso Javidi, che ha girato il reportage con me, quando abbiamo lasciato Huntsville dopo una settimana, diretti a Houston. Era una sensazione di pace e liberazione, come se ci fossimo tolti un peso. È stata un’esperienza davvero strana, e ancora oggi faccio fatica a spiegare quella sensazione.

Pensi che queste testimonianze portino alla luce verità di solito non dette o messe a tacere?

Esistono molti documentari su questo tema, e registi del calibro di Werner Herzog hanno esplorato lo stesso carcere texano, concentrandosi su singoli casi e intervistando le figure coinvolte, tra cui anche un boia. Quello che emerge dalle mie interviste è il bisogno, più o meno consapevole, di queste persone di esprimere i traumi vissuti, spesso in ambienti dominati dal machismo. Sono momenti in cui sentono l’esigenza di tirar fuori esperienze emotive che raramente vengono discusse apertamente in quell’ambiente.

Per quanto riguarda la seconda parte del documentario, che si concentra sugli aspetti medici dell’iniezione letale e sulle sofferenze reali dei condannati, questo è un argomento ancora poco trattato. È una verità che dovrebbe emergere maggiormente. Non dimentichiamo che, nonostante gli Stati Uniti siano considerati una delle democrazie più avanzate del mondo, il 25 gennaio 2024 è stata eseguita la prima condanna a morte tramite l’uso dell’azoto, un metodo che richiama sinistramente le camere a gas.

Il regista Luigi Montebello

La Procedura è scritto da Luigi Montebello, con la collaborazione di Irene Sicurella. La fotografia è di Luigi Montebello e Tommaso Javidi. Il reportage è già disponibile gratuitamente su RaiPlayContinua a seguire FRAMED anche su Instagram Telegram.

Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.