Squid Game. Netflix

Con i suoi nove episodi scritti e diretti da Hwang Dong-hyuk, la sudcoreana Squid Game è stata il caso seriale di fine 2021. Vuoi per i record comunicati da Netflix (142 milioni di visualizzazioni per 1,65 miliardi di ore nel primo mese sulla piattaforma), vuoi per l’impatto sull’immaginario, anche da noi. Tra termini come “gganbu” entrati nelle conversazioni, casi di emulazione tra i ragazzini e relative (deliranti) polemiche sui presunti effetti diseducativi di una serie peraltro VM14. Ma ciò che ha rischiato e rischia di sbiadire, dietro il clamore di annunci e notizie, è il dato più importante. Ovvero che Squid Game, oggi pluricandidata agli Emmy, è una grande serie, tra le migliori dell’anno trascorso.

Squid Game non ripropone semplicemente il topos

Poteva essere la riproposizione (ennesima, stanca) di un topos di successo diventato cliché (da Battle Royale a Hunger Games), quello del torneo crudele per la sopravvivenza tra concorrenti-vittime del sistema. Così non è stato. E la storia dell’indebitato Seong Gi-hun (Lee Jung-jae) e degli altri, disperati concorrenti dei giochi infantili a eliminazione fisica per il sollazzo dei più ricchi (in palio 45 miliardi di won) si è rivelato un’allegoria tra le più lucide della società odierna. Quella dell’ipercapitalismo finanziario globale, fondato sull’onnipotenza del profitto di pochi e su una libertà che per molti è mera illusione. Vedere, per credere, uno degli episodi più brillanti, il secondo, tutto incentrato sul dilemma dei protagonisti se proseguire o meno la partita.

Così, la trasfigurazione dei tradizionali divertimenti per bambini in macchine di morte (anche in massa) restituisce con efficacia rara il doppio volto del mondo (reale) costruito negli ultimi decenni. Dove il blocco, o la regressione, del pensiero critico dei popoli allo stadio infantile va a braccetto con la competitività esasperata che impone l’azzeramento dell’empatia. E la sopravvivenza di brandelli di quest’ultima (pensiamo all’episodio 6 o al finale) è forse la vera posta in gioco dell’intera vicenda.

Squid Game. Netflix

Ciò che è necessario sapere

Ma non è solo il messaggio politico o la riflessione sull’animo umano a fare la forza di Squid Game, che rende il pubblico complice del macabro spettacolo lavorando sulla propria stessa ambiguità. L’ambiguità delle tecniche narrative tipiche di ogni (buona) serie, tra plot-twist, personaggi vivi che rivelano progressive sfaccettature, bivi narrativi che costringono a decisioni fatali. Ma, soprattutto, l’ambiguità di un’estetica straniante e rigorosa. Fatta di maschere, uniformi, coreografie sospese kubrickianamente tra ordine e caos, labirinti di scale dove i colori da ludoteca si sporcano di sangue. Lo show è (anche) per noi, respinti e sedotti, e ci costringe a riflettere sul nostro guardare (e sul nostro essere) nel presente. Un presente dove il Potere non è mai stato così tanto fondato sulla rappresentazione.

La cerimonia degli Emmy si svolgerà il 12 settembre 2022. Continua a seguire FRAMED per aggiornamenti sulle serie TV nominate. Siamo anche su InstagramFacebook e Telegram!

Emanuele Bucci
Gettato nel mondo (più precisamente a Roma, da cui non sono tuttora fuggito) nel 1992. Segnato in (fin troppo) tenera età dalla lettura di “Watchmen”, dall’ascolto di Gaber e dal cinema di gente come Lynch, De Palma e Petri, mi sono laureato in Letteratura Musica e Spettacolo (2014) e in Editoria e Scrittura (2018), con sommo sprezzo di ogni solida prospettiva occupazionale. Principali interessi: film (serie-tv comprese), letteratura (anche da modesto e molesto autore), distopie, allegorie, attivismo politico-culturale. Peggior vizio: leggere i prodotti artistici (quali che siano) alla luce del contesto sociale passato e presente, nella convinzione, per dirla con l’ultimo Pasolini, che «non c’è niente che non sia politica». Maggiore ossessione: l’opera di Pasolini, appunto.

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