Aftersun. A24, Mubi.
Aftersun. A24, Mubi.

Aftersun è il film d’esordio della regista scozzese Charlotte Wells. Aftersun è l’accesso ad un ricordo così potente da far stare male: il racconto di una vacanza apparentemente come tante altre, che però diventerà unica per Sophie, che ricorderà per sempre quel viaggio in Turchia con suo padre e quel gusto di fissare la memoria su dispositivi di ripresa per non dimenticare la consistenza del momento.

L’istantanea di un’estate negli anni ’90

Il film di Wells è stato da molti definito uno dei migliori del 2022. Autobiografico, dal grande impatto emotivo, Aftersun è un debutto che colpisce al cuore chi lo guarda, ma soprattutto che travolge chi si ritrova inghiottito da ricordi simili, dalla nostalgia degli spensierati (ma solo in apparenza) anni ’90. Filmati in bassa definizione e canzoni vintage, come Drinking in L.A. di Bran Van 3000, che risuonano negli spazi dell’albergo in cui padre (Paul Mescal) e figlia (Frankie Corio) trascorrono qualche giorno di vacanza, sprigionano la bellezza di una storia essenziale, eppure straziante.

Sophie ha 11 anni, è ancora una bambina ma sente che qualcosa sta cambiando, vive nel limbo di un’estate decisiva in cui l’infanzia viene lasciata indietro. Suo padre, Calum, ha 30 anni e non fa che metterla in imbarazzo con le sue strane mosse di Tai Chi e la convinzione di essere un bravo ballerino. Parlano tra un gioco e l’altro, si confidano in modo goffo come solo una bambina e un papà potrebbero fare. Registrano con una videocamera i momenti più belli.

Come una polaroid sbiadita in cui i contorni dei sorrisi piano piano si sciolgono per colpa del tempo, quei giorni sono luminosi, intensi, complessi, ma celano ciò che Sophie ha paura di raccontare a Calum, e ciò che Calum non racconta a nessuno. Perché essere un bravo genitore è non farla scottare nelle ore calde e spalmarle ogni sera il doposole (aftersun) sul viso, quel viso sorridente con occhi che stravedono per l’unico uomo a cui prestano attenzione.

Aftersun. A24, Mubi.

Le ombre di un padre

Ciò che guardiamo non sta succedendo in quel momento: è la rielaborazione di un insieme di esperienze che, come la luce sulla spiaggia, cambia colore di continuo. E tra un flash e l’altro della Turchia e del bikini tie dye di Sophie c’è la donna adulta, all’età di Calum all’epoca del viaggio, che si fa strada in una discoteca dove accecanti luci bianche illuminano a ritmo di musica il locale. Dove scorge il profilo di un uomo che le ricorda il genitore.

Lei sa cosa è successo dopo, chi dei due ha deciso se rimanere o scappare da Edimburgo. Sa quante altre volte si sono detti ancora “ti voglio bene” prima di una partenza. Noi no, eppure, come se fossimo nella mente della donna, troviamo disseminate durante la proiezione mentale di quel ricordo le ombre di un uomo, che solo dopo individuiamo come tali.

La tristezza di Calum è silenziosa e si manifesta con noncuranza. In più di un momento sembra che poco gli importi di vivere e che l’unico motivo per cui continuare ad esserci sia Sophie e nessun altro. In bilico sulla ringhiera del balcone della stanza d’albergo, steso su un tappeto troppo costoso appena acquistato: Calum piange di nascosto e insegue un senso di fine che fa paura.

Aftersun. A24, Mubi.

Cortocircuito/Controcampo

La vita porta altrove. Lontano da quel resort in Turchia dove infanzia e adolescenza si sono fuse e sovrapposte in modo irreversibile. Lontano dai colori delle t-shirt e dalla musica brutta che li ha resi felici. La nostalgia è quella malattia degli adulti dalla quale è difficile guarire: il numero dei ricordi inizia a superare quello degli istanti da voler ricordare e Sophie ha dentro un mai detto irrisolto appuntito come un vetro rotto.

Non sappiamo cosa è successo tra lei e Calum dopo quell’estate, la bambina, ormai adulta, si sveglia la mattina del suo compleanno e guarda i filmini registrati nei giorni insieme.

Nella discoteca bianca e nera l’uomo che aveva visto da lontano era proprio Calum, o la sua proiezione, o un sogno rivelatore. La Sophie adulta lo abbraccia, lo allontana. Si scontrano, si stringono in un groviglio di amore e violenza, risentimento e mancanza. Una manciata di scene devastanti in cui quel poco che si vede esplode in un incontro/scontro che è in fondo una fantasia, o un desiderio mai realizzato.

Della vacanza rimangono vari nastri e sul finale una bambina che saluta il papà. Sophie si osserva, campo e controcampo di passato e presente si valutano.

SPOILER – La regista però vuole mostrare anche un altro controcampo, ovvero Calum dietro alla videocamera, che guarda la figlia di fronte a sé salire sull’aereo che la riporterà a casa dalla madre. Abbassa la videocamera, interrompe la ripresa, percorre il corridoio dell’aeroporto uscendo da una porticina affacciata su quella sala di luci accecanti, il rave/visione di Sophie in cui ha imparato a conservare anche le ombre di suo padre. Lì vivono tutte quelle sensazioni a cui ha dato un senso solo dopo. Dopo la Turchia, dopo il ritorno a casa, dopo la polaroid sbiadita di una serata con l’uomo che allontanava la nostalgia ballando con lei Under Pressure.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.