Il Grinch (2000) - Credits: TMDb.com

Il Grinch (Dr. Seuss’ How the Grinch Stole Christmas), regia di Ron Howard, 2000

Il Grinch (2000) è uno di quei film che ogni anno attendo nella programmazione natalizia (perché vederlo in TV è tutta un’altra cosa!).  Un film che ho nel cuore, perché il signor Grinch (come lo chiama Cindy Lou), mi ha regalato la riflessione più bella e profonda che abbia mai sentito sul Natale.

Strano, dal momento che a Chinonsò tutti quanti sanno che il Grinch odia il Natale.

LA CRITICA ALL’IPOCRISIA PERBENISTA – Questione di equilibrio

Verrebbe da chiedersi come è possibile che nel paese dove il Natale è così celebrato e sentito, dove tutti sono così zuccherosamente buoni, nessuno si sia mai chiesto perché il Grinch odi le festività natalizie.

Il Grinch arriva in una realtà già ben equilibrata, che condivide un certo stile di vita e una stessa mentalità. Lui, che è diverso per aspetto, carattere e modo di pensare, in qualche modo rompe l’equilibrio originario. Proprio in virtù della sua diversità potrebbe arricchire la comunità di Chinonsò, ma ammettere questo implicherebbe, da parte dei Nonsochì, uno sforzo nel riprogettare e costruire insieme un nuovo equilibrio. È più comodo allora additarlo come colui che ha perturbato il loro stato di quiete, e far finta che non sia mai esistito: anche solo pronunciare il suo nome incrinerebbe l’equilibrio originario.

Credits: IMDB.com
Credits: IMDB.com

È questa ipocrisia che il Grinch non sopporta. La dinamica che si innesca nei gruppi sociali, piccoli o grandi che siano (dalle aule di scuola, ai paesi di provincia, o sul lavoro). Se il film del 2000 era una denuncia alla società americana dell’epoca, funziona ancora come critica a una certa mentalità italiana che nel 2020 non è ancora scomparsa.

C’è però una persona, una bambina, non totalmente convinta dell’assioma “Il Grinch odia il natale”: è Cindy Lou, che con delicatezza inizia ad avvicinarsi al selvatico e misterioso signor Grinch.

CINDY LOU e il GRINCH – La critica contro il consumismo del Natale

Cindy, pur essendo nata e cresciuta nella smielata bambagia di Chinonsò, si distingue dai suoi concittadini per la sua sensibilità. Per questo (e per la sua scelta di cercare di capire il Grinch) è vista come strana e diversa. Il Grinch e Cindy Lou sono in realtà molto più simili di quanto possa sembrare: la bambina condivide gli stessi sentimenti (e perplessità) che il Grinch prova verso le festività natalizie. Se il più temuto di Chinonsò li dimostra sbeffeggiandosi di tutto e tutti, in Cindy si manifestano in un senso di apatia. Quasi fosse nauseata dalle manifestazioni stucchevoli dei Nonsochì.

“Com’era bello il mio Natale, perché è andato via?”  Canta Cindy con gli occhi sbarrati dalla malinconia. È quello che si chiede anche il Grinch per l’appunto! Dov’è il Natale? Nei regali? Nelle luci? Nei mielosi convenevoli?!

E il punto è proprio questo, no? Si è trattato soltanto e sempre di questo: i regali. Regali, regali, regali, regali, regali! Volete sapere che fine fanno i vostri regali? Arrivano tutti da me, su all’immondezzaio.

Credits: cinema.icrewplay.com
Credits: cinema.icrewplay.com

L’arringa del Grinch sul pulpito in mezzo alla piazza è uno dei momenti più forti del film: le sue parole sono ulteriore critica a una società (americana) che ha spogliato il Natale del suo significato più profondo, facendone la festa del consumismo. Il senso del Natale sta quindi in regali, smancerie e luminarie?

IL DONO PIÙ GRANDE

Ecco allora che per dispetto il Grinch ruba il Natale, o meglio quello che questa festa è diventata per i Nonsochì. Spogliato da tutto questo apparato effimero, colorato e zuccheroso, ecco che si riscopre il vero Natale: una festa semplice, che ci ricorda (annualmente) l’importanza dell’apertura verso il prossimo, dell’accoglienza e della condivisione.

Il Grinch rubando i regali ai Nonsochì, fa a tutti il regalo più bello: il senso del Natale.

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Roberto Boldini
Sono un ragazzo di campagna con la testa tra le nuvole immerso tra mille progetti, se fossi una canzone sarei Confessioni di un malandrino di Branduardi. Dopo la laurea in Scenografia a Brera ho intrapreso un corso di specializzazione presso i laboratori della Scala. Quello che più mi piace è raccontare punti di vista: lo faccio disegnando, scrivendo, progettando. Più che le storie mi attraggono le persone, la loro psicologia, come vengono resi sullo schermo o su un palco il loro dramma interiore e la loro personalità (fantasticando su come le renderei io).

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