Sean Connery Gigi Proietti collage framed
Sean Connery Gigi Proietti collage framed

Dragonheart è il film simbolo di un’era chiusa bruscamente da due perdite incolmabili del mondo dello spettacolo: Sean Connery e Gigi Proietti, entrambi nel ruolo del coraggioso drago

È come se nel giro di qualche giorno un’epoca si fosse conclusa lasciandosi dietro una nostalgia profonda: non un semplice senso di mancanza, ma un sentimento complesso che va a braccetto con la perdita incolmabile di un modo di vivere il cinema, che ora non esiste più.

Sarà il mese di ottobre che dà il cambio a novembre, accentuando il grigiore di un inverno che non volevamo fino in fondo. O le sale dei cinema chiuse in attesa di una “rinascita” che non scorgiamo come prossima. Passando il tempo tra piattaforme streaming e zapping senza obiettivi ben definiti torno a pensare a cosa significava vedere un film come Dragonheart nel 1996.

Dragonheart, 1996, CREDITS: Web

Per me da sempre un film natalizio, forse perché su Mediaset veniva trasmesso proprio nella settimana di Natale, e sta in quell’angolo d’affetto (che trascende spesso la qualità e l’estetica) in cui colleziono i film del cuore.

Penso sappiate ciò di cui parlo: quando un film viene visto in un momento dotato di irripetibile grazia come gli anni dell’infanzia nessun manuale di cinema potrà vincere sul fatto che, dopotutto, non sia un granché. Quindi per quanto tutto un altro tipo di cinema sia l’oggetto dei miei studi, i film che ho visto da piccola hanno un fascino dovuto alla mia memoria, più che alla regia o alla recitazione.

La fine degli anni ’90 in un film

Dragonheart ha tutto quello che un bambino può desiderare: avventura, amicizia, creature magiche, luoghi lontani e misteriosi. E rientra nella serie di film per ragazzi usciti tra la fine degli ’80 e l’inizio dei primi 2000, come la mini serie televisiva Merlin (1998) o il film iconico Ladyhawke (1985). Prima dell’uscita del primo capitolo de Il Signore degli Anelli (2001) di Peter Jackson, che ridefinisce il genere grazie alla macchina produttiva che lo accompagna.

Sono anni in cui il doppiaggio ha ancora un ruolo portante per il valore finale del film. Non che ora non ne abbia, ma le cose sono cambiate e la fama dei doppiatori è significativa più per film d’animazione. (Anche perché arrivato il momento di guardare i film nella lingua in cui sono stati pensati).

Per doppiare Draco, l’ultimo drago rimasto, il regista Rob Cohen voleva una voce immediatamente riconoscibile, un attore che gli desse personalità. Quell’attore fu Sean Connery, il quale prestò non solo la voce ma anche le “emozioni”. Gli animatori infatti fecero uno studio su vari primi piani scattati a Connery che usarono per le espressioni facciali del drago.

Sean Connery in sala doppiaggio per Dragonheart
Sean Connery in sala doppiaggio. CREDITS: Web

Nella versione italiana a sostituire Sean è proprio Gigi Proietti. Il lavoro dei due nelle rispettive versioni vale più di un valore aggiunto; è l’anima del film. L’essenza interpretativa che trasmettono si sedimenta nella mia mente di bambina (solo nella versione doppiata fino a qualche anno fa) e appena passa in TV è un sacrilegio non guardarlo.

La voce per veicolare le emozioni

Tornando all’angolo di affetto dove dimorano i film “emotivi” della memoria visiva di ognuno, è lì che ora quel film fantasy del 1996 si è arricchito di qualche connotazione in più. Il 31 ottobre scompare Sean Connery, qualche giorno dopo, il 2 novembre, Gigi Proietti. Entrambi ascendono a quella costellazione di “draghi caduti” e trasformano la loro eredità in una scia di luce, che va tramandata.

Rivedendo i loro film emerge molta tristezza, come se fosse stato perso un punto di riferimento presente da quando possiamo ricordare (almeno per la mia generazione over 30). Ma ascoltandone la voce in Dragonheart il sentimento cambia e la nostalgia diventa un senso di appartenenza rinnovato, ad un mondo reso memorabile da attori con l’innata capacità di rimanere eterni.

E novembre inizia dandoci la possibilità di recuperare un pezzetto di storia del cinema, che ci ha reso quello che siamo.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.

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