Quasi non credevamo che sarebbe arrivato questo momento eppure, dopo quasi tre anni di attesa dal primo capitolo, Dune – Parte Due, diretto da Denis Villeneuve, esce al cinema, per proseguire con le vicende, ispirate ai romanzi omonimi di Frank Herbert, di Paul Atreides e dell’universo futuristico e decadente che attraversa per trovare la sua strada.
Di fronte ad una produzione incredibile, che testimonia quanto la saga fantascientifica di Dune sia pronta ad essere considerata per il genere la più importante degli ultimi anni, un grande protagonista cresce sotto ai nostri occhi seguendo prima le vie del cuore, poi quelle del potere: la storia si modella sotto ai suoi passi, sulla sabbia colma di spezia, in un Arrakis rovente dove i Fremen si preparano a combattere.
Il messaggio politico del film è un monito difficile da sottovalutare, il divampare del conflitto diventa per Villeneuve una sconcertante prospettiva di distruzione, che restituisce attraverso scenari bruciati e incubi, premonizioni di morte. Dune – Parte Due è l’inizio di tutto quello che aspettavamo dopo aver salutato Paul tra le tute distillanti e i mostri sottoterra.
Non solo sogni
Il primo Dune e Dune – Parte Due sono film molto diversi, sia per codici narrativi che per scelte registiche; a cambiare sono anche i personaggi nel corso della storia, il Paul ragazzo e sua madre Lady Jessica (Rebecca Ferguson), vivranno un ribaltamento totale, ma non inaspettato. Nonostante sia l’elemento più evanescente della visione, dopo ore di eventi, scontri e dinamiche coinvolgenti, all’inizio di entrambi i film alcune parole dettano il senso intrinseco di ciò che vedremo, il nucleo pulsante della narrazione.
Nel primo capitolo sono i sogni a definire il corso e la forma del racconto di Paul (Timothée Chalamet), le sue visioni preannunciano qualcosa di ancora troppo nebuloso per essere spiegato, e il ritmo della narrazione si fonda prevalentemente su una dichiarata mancanza di azione: questo perché Dune (2021) è una lunga introduzione che ci spiega gli equilibri politici in atto, gli schieramenti, i buoni e i cattivi (ancora distinguibili tra loro), e le premonizioni di una guerra futura sconvolgono il protagonista, che ancora non è pronto ad affrontarla.
Dune – Parte Due ha un sapore completamente nuovo: chi possiede la spezia detiene il potere, è sul concetto di potere che la storia si concentra, scandagliandone le sfumature e le possibilità. Pretendendo da Paul un cambiamento, una crescita, un riconoscimento di ciò che ancora non conosce di sé e della sua famiglia. Di fatto l’inazione lascia ampio spazio al conflitto violento, alla guerra in cui Paul si vedeva a fianco dei Fremen per la riconquista di Arrakis nei suoi sogni. La polvere e il fuoco sostituiscono il dubbio, e in prima linea, il discendente di casa Atreides, trova il suo destino. E i suoi sogni si tramutano in incubi.
Sfruttare le masse promettendo l’avvento di un Messia
Figlio di una sacerdotessa Bene Gesserit, Paul non è solo l’erede di casa Atreides: da tempo la madre lo addestra alle tecniche del suo ordine, indicandogli un futuro di resurrezione e gloria, quello previsto, secondo la profezia, per il Kwisatz Haderach, il Messia, o come viene accolto da molti Fremen (quelli più devoti alle sacre scritture, come Stilgar, Javier Bardem), il Lisan al Gaib. Una voce dall’esterno, una guida destinata a far risorgere il Paradiso verde su Arrakis, o in lingua Fremen, Dune.
E mentre la donna persegue la via che porterà alla Guerra Santa, il ragazzo persegue quella della vendetta per suo padre, ucciso come tutti gli altri di casa Atreides dal barone Vladimir Harkonnen (Stellan Skarsgård). Impaurito dall’idolatria nei suoi confronti, Paul riesce comunque ad avvicinarsi ai Fremen e alla ragazza delle sue visioni, Chani (Zendaya), che non crede alle profezie e alle preghiere, bensì alla forza del suo popolo pronto a combattere gli Harkonnen e l’impero.
Nella rappresentazione della guerra di Dune, lo sfruttamento delle masse attraverso la religione diventa fulcro di uno scenario terribilmente realizzabile. Paul è pedina e artefice all’interno del disegno, molto più grande di lui, in cui la madre lo sta ponendo, sa che dovrà prendere decisioni per il bene comune, lasciando da parte l’amore per Chani, per salvare ciò che rimane della sua Casa, della linea di sangue degli Atreides. I combattenti Fremen hanno bisogno di credere che Paul sia l’eletto per immaginare un esito che non sia solo sangue e terra, Paul ha bisogno di loro per sconfiggere l’Imperatore, vero direttore d’orchestra dietro all’uccisione di suo padre.
E dialogando con un romanzo fantascientifico del 1965, in cui la paura dell’atomica e le immagini di mucchi di cadavere bruciati dai propri nemici presagivano un futuro più che mai in declino per l’umanità, il film di Villeneuve trasla quegli scenari al presente, dove senza acqua o speranza, si combatte per il potere.
La regia di Denis Villeneuve
L’amplificazione della guerra e dei suoi effetti è un leitmotiv portante di Dune – Parte Due: la sabbia trema sotto al rumore sordo del tonfo dei cadaveri, le esplosioni si alternano agli scontri corpo a corpo, in cui i combattenti vengono pedinati così da vicino da renderci partecipi di ogni pugnalata, calcio, respiro.
Sebbene il sound design e le musiche di Hans Zimmer siano ancora una volta fondamentali per la percezione spettatoriale, la regia acquista nuove ispirazioni, e sceglie di restituire in modo ancora più netto la brutalità estetica di Casa Harkonnen, soprattutto nella sequenza in cui un nuovo personaggio fa il suo ingresso nella storia, Feyd-Rautha Harkonnen (Austin Butler), che si esibisce nell’arena dove un sole oscuro illumina la folla e i gli ospiti.
In un bianco e nero estremo in cui non sussistono mezzi toni, Villeneuve togliendo il colore rappresenta la fredda crudeltà dei componenti della casata, e lo sceglie anche per un’altra scena, dove macchine da guerra e soldati si preparano per distruggere i Fremen; e il pensiero torna immediatamente a filmati di armate naziste della seconda guerra mondiale che vivono nel backup indelebile della nostra memoria visiva.
Il pianeta Dune di Timothée Chalamet
Non è solo Paul Atreides a crescere e cambiare, ma lo stesso Timothée Chalamet, che sotto ai nostri occhi modella un’interpretazione forte e intensa, definendo il cambio di tono del film dalla seconda metà in poi, dopo essere sceso a patti con il volere di sua madre e forse quello che inizia ad accettare come inevitabile realizzazione degli eventi profetizzati.
SPOILER – Paul beve il veleno che gli permetterà di vedere il passato e il futuro, scoprendo segreti che cambieranno per sempre la sua prospettiva, incontrando addirittura sua sorella, ancora neanche nata, adulta (Anya Taylor-Joy). Questo lo porta a cedere alle pressioni della profezia, sfruttandone il devastante potenziale, spingendosi dall’essere un comandante a un possibile tiranno.
Prima di affrontare l’imperatore entra nel luogo di culto dei Fremen incitandoli a credere prima, e a combattere poi. Quel discorso, urlato in lingua fremen, gettato in faccia a centinaia di uomini e donne in preghiera, cambia totalmente il corso degli eventi e la sua adesione al mito, che gli servirà per riconquistare l’agognato prestigio delle sua famiglia. Il volto trasformato di Chalamet e la sua voce strozzata, in parole che sembrano sia una minaccia che una premonizione, cambiano definitivamente il personaggio che conoscevamo.
Il suo Dune è pronto per la Guerra Santa, gli stendardi dei Fremen si coprono con il simbolo di Casa Atreides, la devozione lo accoglie e lo eleva, e Paul inizia a percorrere la via del controllo, quella da cui era intimorito, senza guardarsi indietro.
In breve
Cambiando totalmente codici e toni rispetto al primo, Dune – Parte Due è un film dove i nuovi guerrieri sostituiscono i vecchi combattenti, e i figli i padri. Il deserto diventa il luogo di scontro per una terribile Guerra Santa, e Paul Atreides scende a compromessi con la sua anima sincera, per il controllo del potere, e la vendetta per il genitore Leto Atreides.
E dove credevamo di sapere come sarebbe andata a finire sbagliamo, perché Dune non ha bisogno di troppa immaginazione, poiché così simile al (prevedibile) male del nostro presente.
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