Foe, il thriller fantascientifico disponibile su Prime Video che vede protagonisti Saoirse Ronan e Paul Mescal, ha un punto di partenza molto affascinante, ma uno sviluppo confuso dovuto ad una sceneggiatura incapace di mantenere l’attenzione: la deriva estremamente disordinata e noiosa è un dato di fatto che dispiace, soprattutto per il cast e per ciò che prometteva la collaborazione tra il regista Garth Davis (Lion – La strada verso casa, 2016) e l’autore del romanzo omonimo di cui il film è un adattamento, Iain Reid.
Fantascienza e love story? Sì ma con molte riserve, ci sono momenti piacevolmente intensi che si devono all’interpretazione di Paul Mescal, persi però in dilatazioni narrative non necessarie, che appesantiscono il senso finale di Foe, ovvero la comprensione del ruolo dei sostituti biologici in un futuro prossimo dove il mondo è cambiato ma i sentimenti umani no.
Anno 2056, Midwest
Nei titoli di testa ci viene spiegato cosa si intende per sostituto biologico; sono cloni in grado di sviluppare una coscienza, prodotti per sostituire gli umani nelle zone più devastate della Terra. Quel dettaglio ci rimarrà impresso fino alla fine della visione, ma non verrà mai affrontato in modo interessante.
In un futuro possibile, dove il mondo è prossimo ad esaurire le proprie risorse e gli umani progettano una prospettiva di vita su altri pianeti, la giovane coppia formata da Junior (Paul Mescal) ed Henrietta (Saoirse Ronan) vive in una casa dai pavimenti scricchiolanti, della famiglia di Junior da generazioni, un tempo una fattoria, ora circondata solo da un deserto di alberi prossimi alla morte e sbiadita aridità. Non solo il caldo è asfissiante; tra i due qualcosa ha iniziato ad incrinarsi, le incomprensioni e i desideri di Henrietta smuovono un cambiamento prossimo a rivelarsi.
La loro routine però viene interrotta dall’arrivo di un estraneo, Terrance (Aaron Pierre, per un ruolo che era stato scritto per Lakeith Stanfield, e si vede), annunciando che Junior è stato selezionato per un programma spaziale che di lì a due anni lo costringerà a partire lasciando sola la moglie per un lungo periodo. La notizia turba entrambi, ma c’è qualcosa di più che non riusciamo a cogliere, un malessere che Henrietta manifesta ma che non dipende dalla partenza di Junior.
Un anno dopo Terrance torna per fare dei test a Junior, ma anche per osservare il loro matrimonio, poiché lascerà accanto alla donna un clone identico al marito. Noi abbiamo capito perfettamente che qualcosa non torna, eppure la storia continua ad allungarsi senza soffermarsi sugli aspetti più attraenti delle premesse, perdendosi in lunghe sequenze prive di pathos e dettagli lasciati qua e là per dare una forma al tutto.
Innamorarsi di un clone – Spoiler alert
L’evoluzione dell’intelligenza artificiale, che inizia a produrre emozioni e maturare sentimenti, è riconosciuta come un topos della narrazione fantascientifica, siamo stati abituati a farlo nostro, nel cinema e nella serialità, nella letteratura come in molti dei racconti di Philip K. Dick, tra cui il romanzo Do Androids Dream of Electric Sheep?, da cui Ridley Scott prende ispirazione per Blade Runner (1982), o Impostor, racconto da cui è stato tratto il film del 2001 con Gary Sinise, all’insegna dell’avvento di copie biologiche.
Nonostante la tematica torni costantemente nel cinema e nella serialità di fantascienza, il suo fascino non riesce ad esaurirsi. Si appiattisce molto però in Foe. Dopo aver presentato questi nuovi cloni, per la prima metà del film non facciamo altro che chiederci chi sia la copia tra Junior ed Henrietta, o lo straniero arrivato per separarli. A ragione, il nostro partire sulla difensiva si rivela fondato: l’uomo che dall’inizio è stato accanto alla donna è un clone, attivato nei primi istanti del film, prima della visita di Terrance, andato lì di fatto per controllare la situazione, e quando il vero Junior torna dalla sua missione assiste a qualcosa che non si aspettava: la moglie si è perdutamente innamorata del finto lui, riscoprendo la spontaneità che aveva caratterizzato i suoi primi anni di matrimonio, sovrastata poi dai litigi e dalla lontananza.
A spezzare la lentezza dell’intero film è la scena brutale dell’uccisione del clone, ormai convinto di essere umano, innamorato e disperato. Straziante e coinvolgente, è come se velocizzasse il bisogno di un epilogo un po’ più brillante del resto della storia. Il vero Junior torna a minare la libertà di Henrietta, lei decide di cambiare finalmente vita e lui si consola a sua volta con un clone di sua moglie, meno problematico e più sorridente. Quello che per lei è stato lo slancio per tornare ad essere se stessa per lui diventa l’illusione rassicurante che tutto debba rimanere com’è.
In breve
Arrivare alla fine di Foe è un’impresa, bisogna fare i conti con buchi di trama e tentativi artistici che ne spezzano solo il mood. Uno spreco incredibile per Saoirse Ronan, che risulta comunque sottotono per colpa di una direzione che non ne esalta le capacità attoriali, e Paul Mescal, che rimane la cosa migliore del film.
Continua a seguire FRAMED! Siamo anche su Facebook, Instagram e Telegram.