FURIOSA: A MAD MAX SAGA Copyright: © 2024 Warner Bros. Entertainment Inc. All Rights Reserved. Photo Credit: Jasin Boland
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Furiosa: A Mad Max Saga è tutto ciò che non vi aspettate, di sicuro il film della serie che meno assomiglia ai precedenti. Contraltare di Fury Road, e degno complementare, è un’operazione ambiziosa che modera i tempi adrenalinici per un racconto di lenta vendetta, e la conseguente consacrazione di un mito, quello dell’Imperatrice Furiosa.

La trasformazione da bimba orfana in mano ad un motociclista esagitato (e neanche totalmente sano di mente) a guerriera bionica con testa rasata e fronte dipinta avviene nell’arco di 15 anni, raccontati da Miller come la costruzione di un personaggio epico in cui l’importanza della narrativa prende il posto dell’accecante e incalzante massacro su strada che ci ha riempito lo sguardo nel film precedente.

E soprattutto, non è un film femminista, e neanche un Kill Bill in versione post apocalittica (sebbene allo stesso modo sia diviso in capitoli), ma la formazione dura e pura di un eroe. Nel futuro desolato che ci aspetta la vendetta non ha genere (e neanche la violenza).

L’epica di Furiosa

Che Furiosa fosse il personaggio decisivo che avrebbe mandato in pensione Max Rockatansky l’avevamo capito subito, nel sequel del 2015 Miller ha aggiunto qualcosa: a quell’umanità destinata al tracollo mostra una possibilità, fondata sulla ribellione di una donna determinata a salvare le schiave sessuali dell’harem di un tiranno a capo di un gruppo di folli suicidi.

Tutte le buone azioni di Max nell’arco di tre film lo aiutano a ritrovare l’empatia con il prossimo, la missione di Furiosa serve invece a riportarla a casa; entrambi iniziano a percorrere il proprio cammino dell’eroe dal bisogno di vendetta, ma mentre Max non ha mai conosciuto altro che polvere e criminalità, Furiosa proviene da un luogo incontaminato, il Green Place (Luogo Verde delle Molte Madri), e finalmente capiamo perché vuole tornarci a tutti i costi.

Se il personaggio adulto di Furiosa è impavido e determinato, lo stesso si può dire per la sua versione più giovane, che passa da un esaltato padre surrogato all’altro, cercando di liberarsene come da una brutta infezione, disposta a tutto per lasciare quell’inferno. Sebbene l’interpretazione di Anya Taylor-Joy ricordi poco quella di Charlize Theron, la sua agilità da gatto randagio contro tutto e tutti ci fa capire come si diventa dopo una serie di ripugnanti rapimenti ma soprattutto, la nuova Furiosa riesce a reggere un film in cui parla pochissimo; per due ore e mezza è in grado di farci bastare i suoi enormi occhi lucenti e la scaltrezza fisica con cui si riesce a tirarsi fuori da ogni difficoltà (giocandosi anche un braccio). Sicuramente più convincente del motociclista interpretato da Chris Hemsworth, a cui non basta un naso prostetico per farci dimenticare quell’aspetto da Thor copertina per Variety.

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Scrivere un mito

Il trascorso dell’ex poliziotto Max Rockatansky lo conosciamo bene, Furiosa invece diventa padrona della scena al quarto film della saga senza avere un passato ben definito. Il mistero del suo personaggio ne decreta il successo, alimentandone il mito, quello che George Miller va a delineare come in un romanzo d’avventura.

Il film inizia con una Furiosa bambina strappata al luogo in cui vive nascosta con sua madre e la sua comunità. Nel verde paradiso circondato dalla sabbia arsa, due motociclisti agghindati di ossa umane la rapiscono per portarla dal loro capo, Dementus (Chris Hemsworth), uno spostato capobanda che la ingabbia e le mette una museruola, considerandola però come una figlia, al posto di quelli che ha perduto.

Ma Furiosa non è una ragazzina qualunque: l’obiettivo di fuggire è la priorità e non si tira indietro quando si tratta di accoltellare, mordere o combattere. L’iperviolenza feroce e disumana è uno spettacolo a cui la bambina viene abituata presto, il primo massacro a cui assiste è proprio quello di sua madre, per mano di Dementus e della sua orda di scomposti, sporchi e rumorosi seguaci. È un ricordo che le rimarrà impresso per sempre, la porterà a decidere di salvarsi e di salvare le donne in trappola della Cittadella, la farà sognare per tutta la vita quel luogo verde e incontaminato, distante e salvo dalla brutalità di corpi ripugnanti, denti spezzati, resti immondi della civiltà.

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Guardandosi intorno: azione e devastazione

Mentre negli ultimi 40 anni la distanza tra gli scenari desertici e compromessi della saga di Miller e quelli previsti per il prossimo futuro del mondo si è drammaticamente assottigliata, la visione si fa meno distopica e qualche brivido in più ci corre lungo la schiena.

Il regista, che proprio con Mad Max nel 1979 ha debuttato al suo primo lungometraggio, rivede la sua creatura assumendo una posizione diversa, da osservatore più maturo e consapevole, assumendosi la responsabilità di chiarire le cause della guerra che porteranno poi a Fury Road: specificando come la guerra sia sempre stata onnipresente e come lo sarà in eterno, anche in un futuro già irrecuperabilmente danneggiato. Tre poli gestiscono i brandelli della società: la Cittadella comandata da Immortan Joe, Gastown che detiene il potere del carburante e Bullet Farm, dove si fabbricano proiettili e armi.

Come pedine su una scacchiera, le bande e le micro società ancora presenti si scontrano su un campo di battaglia privo di regole per conquistare quanto più potere possibile, per accaparrarsi cibo, macchine, benzina.

Ma la devastazione della terra si mostra lasciando che una coscienza diversa ne emerga: anche qui il tempo ha un ruolo fondamentale, e le sequenze action formate da microfotogrammi lanciati in un montaggio che toglieva il fiato (come era in Fury Road), vengono sostituite da coreografiche impalcature di armi e motori, anch’esse iperboliche, ma equilibrate come un combattimento di scherma, senza spada ma con le bombe. Vediamo Furiosa muoversi con forza leggiadra (merito della formazione da ballerina dell’attrice protagonista) tra un’esplosione e un motociclista frantumato sotto alle ruote della blindocisterna, con l’attitudine ferma di chi conosce perfettamente il bersaglio finale di quella danza preparatoria, ovvero piantare un bel colpo in testa a Dementus per vendicarsi.

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Padri da punire

Da Dementus la piccola Furiosa finirà nelle mani di Immortan Joe, per essere nascosta insieme alle altre mogli in attesa che cresca e possa contribuire alla procreazione. Ma non è quello il suo destino, e lo capirà solo attraverso l’ingegno di sottrarsi al pericolo con ogni mezzo possibile. Sarà grazie alla sua continua valutazione dei rischi che continuerà a vivere tra le fila di Immortan Joe, fingendo però di essere un ragazzo, e arrivando a diventare pilota e poi Praetorian Furiosa, al fianco del comandante Praetorian Jack (Tom Burke).

Nelle terre desolate Furiosa si trova a rifiutare due figure che si ergono come genitori e padroni: prima Dementus, oggetto della sua vendetta, poi Immortan Joe. La ribellione di fronte a tali autorità autocostituite, e in parte drammaticamente fragili, è una manifestazione estrema di rabbia e risentimento nei confronti dei responsabili della distruzione del mondo, dei simboli di come il potere sia malato.

In breve

Mentre guardo Furiosa: A Mad Max Saga le mie dita ticchettano nervosamente a tempo della colonna sonora di Junkie XL, e lo stesso è per chi mi siede accanto. Quella sete di vendetta è un pretesto irresistibile, per incollarci al personaggio che ci aveva conquistato in Fury Road. L’adrenalinico show di Mad Max riprende fiato, dosa ponderatamente la componente action, e si prende tempo per raccontare una storia, quella della consacrazione di un’eroina libera, Furiosa, cambiando coraggiosamente rotta.

Il racconto biografico è finalmente la componente riflessiva che mancava, e si guarda bene dal raccontare un’impresa da amazzone alla Wonder Woman, focalizzandosi invece sulla crescita di un essere umano, prima abbandonato in una wasteland senza legami, che troverà poi la propria strada salvando chi non può farlo da solo.

Illustrazione di Sara Pelagalli

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.