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Riflessioni su una puntata spietata che descrive lo stupro come un trip annebbiato

La terza puntata della nuova serie teen di Netflix, Grand Army, contiene una scena di stupro, e purtroppo un annuncio su fondo nero non basta per ridurre il dolore.

Se non volete avere spoiler e non avete voglia di leggere questo articolo uscite ora; approfondirò scena per scena la ripresa di un atto che mi ha spezzato senza darmi modo di riprendermi.

Mettere in scena la violenza

Non è mai semplice affrontare scene di violenza fisica ma soprattutto sessuale nei film e nelle serie TV, per nessuno degli “attori” coinvolti: da entrambe le parti dello schermo. Quando frequentavo un corso universitario dedicato alla messa in scena del gender nei media, mi capitò di assistere ad una lezione sul rape and revenge movie: un sotto-genere cinematografico in cui la protagonista (prettamente femminile) subisce una violenza sessuale, e la vendetta diventa il suo unico obiettivo. Il film che venne mostrato ad una classe quasi per la totalità femminile fu Uomini che odiano le donne, nella versione svedese del 2009.

Qualcuno uscì dall’aula, anche la mia insegnante non fu in grado di guardare tutte le scene mostrate. Io rimasi, per capire.

Quanto è necessario mostrare una scena di stupro in un film? Serve per raccontare la drammatica realtà o è un espediente ai limiti del morboso che conferisce forza all’epilogo di un possibile trionfo morale da parte della vittima? Non è facile rispondere, perché non esiste risposta che vada bene.

Esprimendo la mia opinione posso dire che a volte è dolorosamente necessario assistere a determinate scene, ma solo per approdare ad una comprensione altra, che possa far ragionare circa avvenimenti reali e all’ordine del giorno.

Grand Army: Relationship Goals

Relationship Goals” è il titolo della terza puntata di Grand Army, serie prettamente teen uscita su Netflix lo scorso 16 ottobre. Grand Army è il nome del liceo di Brooklyn in cui le vicende di cinque studenti vengono seguite, soffermandosi di tanto in tanto su personaggi di contorno. Sul filone di una scelta tematica che intende mostrare il lato oscuro degli adolescenti molto sfruttata negli ultimi anni (anche se di sicuro è meglio del fiacco 13 Reasons Why), si inserisce come cruda esposizione di sogni e lotte personali.

Il progetto è l’adattamento dell’opera teatrale Slut: The Play della scrittrice, attivista e femminista Katie Cappiello. Joey Del Marco è la protagonista dello spettacolo originale e di questa puntata crudele scritta dalla stessa autrice e girata dalla regista Darnell Martin.

Lo stupro di Joey è l’evento fondamentale attraverso cui la drammaturga statunitense esplora le norme di genere, la sessualità adolescenziale e la violenza sessuale. La sequenza è scritta da una donna e girata da una donna, non c’è morbosità o indugio. Le scene si fondono suggerendo allo sguardo la stessa violenta confusione dalla quale Joey non riesce a fuggire. La fotografia si colora di tinte forti e nette, come imitando qualche filtro Instagram nel quale la ragazza è rimasta impigliata. La durata è breve, eppure non ricordo altro dell’intera puntata.

Quanto è necessario mostrare questa scena allo spettatore?

Dopo aver visto la puntata una seconda e infine una terza volta (con i crampi allo stomaco) ho capito che è necessario e forse doveroso, affrontare la violenza sessuale operata dagli stessi adolescenti sulle loro compagne di scuola, o in questo caso amiche d’infanzia.

Joey rientra nelle tristi statistiche

Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici.

Dalle statistiche emerge che la prevalenza degli stupri nei confronti delle donne avviene da parte del partner o comunque di uomini conosciuti. Uomini che rientrano nella sfera degli affetti o della famiglia.

Joey Del Marco è una sedicenne agguerrita, che difende con le unghie i propri diritti. Soffre per la separazione dei genitori e si pone senza remore in contrasto con una figura paterna che ha ferito sua madre. Più di ogni altra cosa Joey non riesce a tollerare che il suo corpo e il suo genere siano oggetto di distinzione tra lei e i suoi compagni di sesso maschile. E infatti ha un rapporto di gioco e affetto con gli amici maschi, che ne sono affascinati e la seguono in qualsiasi rivalsa (come nell’indossare buffe maglie con su scritto Free the Nipples, quando per il suo fisico viene presa di mira da un’insegnante).

ODESSA ADLON è JOEY DEL MARCO, CREDITS: JASPER SAVAGE/NETFLIX © 2020

Sono gli stessi principi che difende con il suo amico Tim, che le dichiara di provare qualcosa di più dell’amicizia nei suoi confronti, e per questo non vuole che lei continui ad avere gli stessi atteggiamenti con gli altri due del gruppo, George e Luke. Ma a Joey non va proprio giù che i ragazzi possano fare quello che vogliono mentre lei viene giudicata per sedersi sulle gambe di un amico.

La libertà sessuale non implica lo stupro

Quando determinati diritti vengono negati in modo così ipocrita e manifesto, è facile affondare nell’ostentazione della propria libertà. Joey non ce l’ha davvero con Tim, ma con il sistema che la chiude in norme comportamentali legate unicamente al suo genere. In un viaggio in taxi dove i quattro compagni di scuola sono seduti stretti sul sedile posteriore, Joey inizia a baciare entrambi i suoi amici, di fronte a Tim che tenta di guardare dall’altra parte. Tim guarderà dall’altra parte anche quando la rivalsa di lei si trasforma agli occhi dei ragazzi in un consenso ad andare oltre, violentandola sul sedile sudicio del taxi, ridendo tra loro, dandosi il cambio.

I tre colpevoli scendono dalla macchina divertiti, mentre lei non è che un mucchio di stracci sanguinante lasciato a marcire, e a fare i conti con ciò che rimane.

Joey non è una troia, come nel titolo originale della pièce. Ha solo fatto male i calcoli fidandosi di tre amici che si sono approfittati di lei. Ancora non so rispondere senza arrabbiarmi o commuovermi alla domanda sulla necessità di mostrare la violenza sessuale nelle serie TV e al cinema. In Grand Army lo stupro è esercitato da ragazzi minorenni che guardano porno sui loro smartphone e si astraggono da qualsiasi coinvolgimento affettivo quando si tratta di dimostrare qualcosa. Vederlo fa male, ma è necessario.

Se volete qualche informazione in più sullo spettacolo originale visitate il sito ufficiale.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.