La Chimera Photo by Brigitte Lacombe
La Chimera, Alice Rohrwacher (2023) Photo by Brigitte Lacombe

Una casa, un paesino del centro Italia, numerose vite sospese nel tempo, nel limbo tra vita e morte e nell’impossibilità di distinguere tra l’una e l’altra. La Chimera di Alice Rohrwacher parte da qui, da un Indefinito che in realtà è un progetto preciso, un film che vuole afferrare il mistero ultimo dell’esistenza e mostrarlo, senza sentirsi in dovere di spiegarlo.

La Chimera può essere l’Aldilà o il talento divinatorio dell’Aruspice Arthur (uno straordinario Josh O’Connor che si impossessa del film) o può essere ancora qualsiasi sogno, desiderio o brama che consuma l’anima, anche il più infimo come la ricchezza o il denaro.

Tombaroli a Cannes

Dicendolo in inglese, tomb raider, il primo pensiero va subito all’avventura, al rischio, all’eccitazione adrenalinica di Lara Croft e al celebre videogioco, eppure i tombaroli, da sempre, sono i ladri più connotati moralmente, quelli che profanano il mondo dei morti, alimentando leggende e paure ancestrali.

Dai racconti della sua infanzia Alice Rohrwacher trae appunto ispirazione per costruire la storia di questi tombaroli di tombe etrusche, un gruppo eterogeneo – di giovani, anziani, donne e uomini, italiani e stranieri – che in una vaga ambientazione anni Ottanta (riconoscibile da costumi e acconciature) è alla ricerca dei tesori nascosti della necropoli.

A guidarli è Arthur, l’inglese fuori posto, una figura quasi mitologica, a metà fra il Teseo che insegue il filo per tornare alla sua Arianna e l’Orfeo che scende agli Inferi per tornare dalla sua Euridice (l’Orfeo di Monteverdi risuona tra i capitoli del film, così come Orfeo Euridice Hermes di Rilke è citato fra i riferimenti bibliografici della regista).

Arthur vive tra i morti e i vivi. La morte gli parla, comunica con lui in un modo che non è comprensibile né agli altri compagni di avventura né al pubblico, ma nessuno esige una spiegazione razionale. È tutto già nelle premesse, nel titolo.

Josh O’Connor, l’inglese

È un misticismo, quello de La Chimera, che si accetta fin dall’inizio grazie soprattutto al protagonista che ne è al centro, Josh O’ Connor. O’Connor è l’estraneo e lo straniero, il diverso nel mucchio. Anche se non vi fossero accorgimenti scenici per farlo spiccare, come la scelta di vestirlo spesso con colori più chiari rispetto a tutti gli altri del gruppo di tombaroli, O’Connor si staglierebbe comunque: per la sua altezza così sproporzionata rispetto alla tenerezza del suo viso, per il timbro di voce, così grave e basso rispetto alle sue fattezze, per quell’aspetto da nordeuropeo che lo fa sembrare una creatura aliena al contesto in cui è calato.

Rohrwacher, perfettamente consapevole di questo, scrive su di lui il personaggio di Arthur come fosse un abito sartoriale, su misura in ogni dettaglio, al punto da farla diventare la sua storia, nonostante le numerose e interessanti sottotrame.

Intorno ad Arthur

Arthur è l’anello di congiunzione fra diversi mondi, anche quelli terrestri. Non riesce ad allontanarsi da Flora (Isabella Rossellini), l’anziana madre della sua fidanzata Beniamina (Yile Vianello). A tenerli legati è proprio la memoria di Beniamina, quell’impossibilità di lasciarla andare per sempre che li costringe a vivere in un tempo fermo, dove la morte non determina l’assenza.

A casa di Flora Arthur incontra Italia (Carol Duarte), giovane donna brasiliana, in apparenza ingenua come una bambina e vergine di vita. Approfittando delle lezioni di canto dell’anziana Flora in sedia a rotelle, Italia accetta implicitamente di farle da “serva” (come la definiscono), perché la casa in cui viene accolta è anche l’unica in grado di custodire una parte della sua vita che vuole tenere segreta.

Il suo nome diventa quasi provocatorio quando Italia è l’unica a non capire e non accettare le Chimere di Arthur, anzi a esserne terrorizzata, in preda a un panico fatto tanto di superstizione quanto di razionale senso di giustizia. Italia, tuttavia, è anche uno dei personaggi più sorprendenti, colei che trova una sua strada indipendente, “scegliendo” di diventare protagonista della sua storia, anziché una parte di quella di Arthur.

Il messaggio de La Chimera

L’insegnamento più grande di Italia, in una terra dove niente è di nessuno, dove nemmeno ciò che appartiene ai morti resta ai morti, è il suo appropriarsi – nella condivisione – di ciò che è di tutti, dando al pubblico una vera lezione di filosofia politica in poche scene finali. È la più evidente ed esplicita stoccata che Rohrwacher dà in un film altrimenti molto metaforico, in cui la sua visione sociale e culturale emerge dalle immagini che crea, ma spesso non ha bisogno di essere verbalizzata.

C’è un forte messaggio anticapitalista, per esempio, che emerge con forza dall’intera sottotrama del contrabbando dei tesori dei tombaroli, dove ha anche un ruolo Alba Rohrwacher. Emerge però da quella sensazione di sporco e di rovina che la regista è in grado di creare appena il denaro, la ricchezza e la cupidigia rompono l’idillio della Bellezza.

“Ci sono cose che non sono fatte per gli occhi degli uomini”, si potrebbe già riassumere tutto così.

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