La Stranezza
Set della Film “La Stranezza” di Roberto Andò, 2022. Nella foto Foto di Lia Pasqualino.

Roberto Andò compie un’impresa ardua, quella di raccontare Luigi Pirandello e la sua “stranezza”. Un concetto articolato, profondo, di natura primordiale che affonda le radici nell’infanzia del poeta, partendo dal fantasma della sua balia alla quale era molto legato. Una stranezza che richiama tristezza, irrequietezza, sconforto nel non riuscire più a scrivere e a inventare. Un’ossessione, un’idea alla quale non riesce a dare spiegazione e struttura.

Ho in mente una stranezza che non so dove andrà a parare. È un’ossessione

Luigi Pirandello (Toni Servillo) nel film La Stranezza

Il film

Il film racconta del ritorno in Sicilia del drammaturgo Luigi Pirandello (Toni Servillo) e del suo incontro con due teatranti amatoriali, Onofrio Principato (Valentino Picone) e Sebastiano Vella (Salvo Ficarra), che di lavoro fanno i becchini.

Il ricongiungimento con la terra natia e il confronto con i due attori dilettanti lo aiutano a trovare una definizione al suo supplizio, mediante un processo di ricostruzione nella forma e nell’essenza. La continua ricerca di un’identità per la sua vita, per le sue storie e i suoi personaggi, lo induce ad uno stato di irrisolutezza continua che lo tormenta.

Toni Servillo, trasformista per vocazione, assume le vesti di un Luigi Pirandello in forma onesta, sincera, restituendo decoro raffinato al tratto intellettualistico ed esistenziale del poeta. Non da meno, Ficarra e Picone, che portano a casa un’interpretazione magistrale. Una comicità placida e gentile che li affranca da una certa immagine di commedia televisiva.

La stranezza di Roberto Andò, 2022. Foto di Lia Pasqualino

Sei personaggi in cerca d’autore – Il dramma

Il topic della narrazione si permea sull’elemento costante di tutta la poetica pirandelliana: la ricerca di un’identità. Non a caso, la menzione all’opera Sei personaggi in cerca d’autore, e la sua rappresentazione sul grande schermo, è segno emblematico del dramma di Luigi Pirandello.

Una visione drammaturgica innovativa, dove la centralità dell’aulica parola, tipica di D’Annunzio, viene sovvertita dall’imponenza della tragedia della vita vera. Luigi Pirandello viene descritto dallo stesso Giovanni Verga, interpretato da Renato Carpentieri, come una “bomba sotto l’edificio”, che è stata in grado di destabilizzare tutta la poetica precedente e di disintegrare lo spazio teatrale, scomponendo le strutture drammatiche.

La regia offre una variazione di registro continua, un’alternanza tra tragedia e commedia, vita e palcoscenico, realtà e finzione. Un’unione di dettagli contrastanti tipici dell’umorismo pirandelliano.

Roberto Andò ci dona personaggi ai quali abbiamo creduto fino alla fine, per poi dissolverli nel nulla, esattamente come accade al titolo del film, che si disgrega durante i titoli di testa: una sensazione che infonde senso di incompiutezza anche allo spettatore, la stessa dei sei personaggi di Pirandello.

Una filosofia che elabora un’identità imperitura, che viene abbandonata dallo scrittore, lasciandola priva di storia e di vissuto. Una persona può smettere di vivere, mentre un personaggio vivrà per sempre nella mente di chi l’ha ideato.

Il poeta diviene quindi bacino di storie da cucire addosso ai suoi personaggi, senza potersene più liberare, costretto ad indire “udienze” immaginarie, per discutere insieme a loro la trama da potergli affidare. Una condanna che Pirandello conosce molto bene e che è chiamato a scontare ad orari prestabiliti.

Una ricerca di identità post-mortem

La Stranezza concede spolvero alle allusioni pirandelliane affidandosi perfino ad alcuni elementi funerei come tombe, bare e loculi.

Componenti precedentemente già messe in scena da Paolo Taviani con Leonora Addio, focalizzando l’attenzione propriamente sulla difficoltà di dare degna sepoltura alla salma e alle ceneri del poeta. Un’astrazione sofisticata che indirizza parallelamente alla tematica centrale del premio Nobel, l’identità, smarrita e senza pace anche dopo la morte, tanto da non trovare luogo, spazio e determinazione, nemmeno al cimitero.

Il metateatro pirandelliano

Non vi è distinzione tra la vita e il teatro e il Pirandello interpretato da Toni Servillo lo lascia intendere in modo illuminante. Il palcoscenico rende liberi dalle maschere, consentendo di inscenare la sostanza tragicomica insita in ogni personaggio, abile nell’esistere anche senza l’attore. Una perenne mescolanza tra realtà e finzione, che ribalta la credenza di un copione riservato agli intellettualismi, raccomandandosi unicamente al teatro della vita vera

Onofrio e Sebastiano, i becchini-teatranti, incarnano perfettamente l’astratto significato di metateatro. Due persone, o forse personaggi, che esistono, o chiedono di esistere, con l’unico scopo dell’autore: fare ciò che deve essere fatto.

Noi quello che dovevamo fare l’abbiamo fatto

Onofrio e Sebastiano

Un fine ultimo che consente loro di poter essere finalmente risolti e risoluti. Quello di poter essere mare, montagna, sasso, filo.

Essere Uno, nessuno, centomila.

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Annamaria Martinisi
Sono il risultato di un incastro perfetto tra la razionalità della Legge e la creatività del cinema e la letteratura. La mia seconda vita è iniziata dopo aver visto, per la prima volta, “Vertigo” di Hitchcock e dopo aver letto “Le avventure di Tom Sawyer” di Mark Twain. Mi nutro di conoscenza, tramite una costante curiosità verso qualunque cosa ed il miglior modo per condividerla con gli altri è la scrittura, l’unico strumento grazie al quale mi sento sempre nel posto giusto al momento giusto.

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