Non credo in niente. Alessandro Marzullo
Non credo in niente. Alessandro Marzullo

Alessandro Marzullo, regista, sceneggiatore e produttore, presenta il suo film alla 59esima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema. Prima della proiezione con il pubblico risponde a qualche domanda a proposito di Non credo in niente, un’opera prima girata in dodici notti ma in tre fasi diverse, ambientata a Roma, che non è rinchiusa in una struttura predefinita ma aperta alla possibilità di mostrare il limite, l’errore, per riflettere la contemporaneità che racconta attraverso quattro personaggi che annaspano nelle loro fragilità.

Brutalità e poesia

In cosa credere quando non esistono certezze e un enorme vuoto scandisce le notti di quattro protagonisti portati alla deriva nella metropoli romana? Alessandro Marzullo interviene insieme a parte del cast tra cui Demetra Bellina, Giuseppe Cristiano, Renata Malinconico, Mario Russo, Lorenzo Lazzarini (anche produttore del film) e Jun Ichikawa, a proposito della scrittura e dell’estetica di un progetto che esordisce a Pesaro in un contesto non scontato di fermento artistico e nuovi modi di guardare la realtà che ci circonda, anche quella che soffoca, come nel caso di Non credo in niente.

La narrazione si apre con una citazione del sociologo Zygmunt Bauman sulla frammentazione delle vite individuali, le cause di questo spezzettamento vengono subite dai personaggi, a cui manca un’ampia prospettiva che possa rassicurarli sul futuro. Il problema è da ricercare nelle relazioni umane, o nella mancanza di intensità che oggi le caratterizza. La distanza è una figura chiave che nel film pesa come un ulteriore personaggio invisibile ma fondamentale.

L’estetica e le fonti d’ispirazione

Non volevo fare un film letterario, anzi tutt’altro“, afferma Marzullo, e lo dimostra attraverso la forma estetica del suo lavoro a cui affida maggiormente la responsabilità di comunicare il concetto di frammentazione e, conseguentemente, di solitudine. La fotografia (per cui la prima reference è il lavoro che ha fatto Wong Kar-Wai con Christopher Doyle), la musica, ma anche l’interpretazione degli attori: ogni elemento concorre alla valorizzazione di una narrazione che procede per antifrasi, con una forma contraddittoria che inneschi un cortocircuito.

Continua Marzullo, “Non potevo chiuderlo in una struttura granitica solida e ho cercato il più possibile di frammentare il film. L’ho girato con le scene scritte ma senza conoscere l’ordine in cui sarebbero state montate, non volevo dare delle risposte retoriche ai problemi dei protagonisti ma ho cercato di restituire allo spettatore il più possibile quelle che erano le loro sensazioni: vivere brutalità e poesia a fasi alterne.”

Anche gli attori all’inizio hanno ricevuto solo una parte delle scene, con la possibilità di lavorare poi insieme sul set, in relazione come gruppo, acquistando una genuinità che si percepisce durante la visione.

Nei “limiti” delle condizioni produttive, l’autore trova il buono integrando tutte le mancanza per un film che definisce appunto “difettoso”, che vuole raccontare che esiste il difetto: nei personaggi e nel mondo che vivono. Questo è merito anche della fotografia: “Non posso non citare Kacper Zieba, il direttore della fotografia polacco che viene da una grande scuola di fotografia in Polonia e che ho conosciuto per caso prima di girare il film, dichiara il regista, “condivideva con me la voglia di raccontarlo: non ha soltanto svolto un ruolo tecnico, illuminando la scena, ma fianco a fianco abbiamo cercato di capire come far emergere certi aspetti dei personaggi attraverso l’uso della luce. È stato un sodalizio magnetico quasi.

Ma Non credo in niente non è solo una rappresentazione drammatica, Marzullo non ha rinunciato a momenti di commedia, soprattutto attraverso il paninaro interpretato da Lorenzo Lazzarini, che diventa una “maschera” di quella, a tratti crudele, comicità romana inserita però in un contesto avverso. Perché, come dice l’autore “La vita non è soltanto depressione e sentimenti oscuri, ma anche tante risate“, e nel film questo binomio rende tutto tangibile.

Non credo in niente uscirà in sala a settembre 2023.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.