Petite fille - Nel corpo sbagliato
Petite fille - Nel corpo sbagliato

Petite Fille (2020) è il racconto della disforia di genere attraverso un anno a stretto contatto con Sasha, bambina nata nel corpo di un bambino, e la sua famiglia, una coppia del nord della Francia, una sorella adolescente e due fratelli. Sébastien Lifshitz entra in punta di piedi in un’intimità complessa e con il suo documentario ci dona una testimonianza importante per capire un concetto spesso sconosciuto o frainteso.

La disponibilità del nucleo familiare di Sasha ad esporsi in prima persona, mostrando momenti tragici e personali della loro vita e di quella della loro bambina, è la forza di una narrazione senza filtri, è un monito per il futuro di altre famiglie e altri bambini nella medesima situazione di totale incomprensione da parte del mondo esterno al di fuori della zona protetta della propria casa.

La consapevolezza di essere

Quando crescerò, sarò una ragazza.

Sasha

Sasha ha sette anni e sa da quando ne ha più o meno tre di essere una bambina nel corpo di un bambino. Odia il suo “pisellino”, odia l’idea che non avrà figli quando sarà più grande. Quando indossa un vestito i suoi occhi si riempiono di gioia e tutta la malinconia, causata dalle incomprensioni a scuola e dalla mancata apertura mentale degli adulti che non sono i suoi genitori, scompare.

Ha genitori “normali”, persone comuni che amano i loro figli e che considerano appunto normali le scelte che essi compiono. Inizialmente Karine, la mamma, non capisce, pensa sia colpa sua: voleva tanto una femmina quando era incinta di Sasha, pensa anche che fosse destino e che doveva succedere, d’altra parte è l’unica figlia che ha con un nome neutro. Nessuna di queste supposizioni è vera, ma è comprensibile che ci siano, poiché il concetto di disforia non è facile da comprendere finché non si arriva a capire che dipende unicamente da chi lo vive in prima persona, sul (e nel) proprio corpo.

Petite fille – Nel corpo sbagliato. Foto: ARTE France “Bild: Sendeanstalt/Copyright”.

È difficile trovare le parole per descrivere la sensazione di viscerale insoddisfazione, rabbia e tristezza, di una bambina di sette anni che non riesce a vivere l’infanzia che dovrebbe. Il suo viso si spezza in un pianto al quale non vorrebbe cedere quando parla con la psicologa infantile di cosa prova. Guardando Petit Fille non riesco a comprendere, come i suoi genitori, la pretesa di voler condizionare le abitudini e i desideri di qualcuno che sa perfettamente chi è ma che non può esprimerlo.

Quando non si conosce qualcosa la prima reazione è una paura immotivata. La stessa che mostra il preside della scuola di Sasha che non vuole “scenate”, ma che tutto vada liscio e che si mantengano le apparenze. Il muro di ignoranza su cui sbatteranno ripetutamente Sasha e i genitori è un’ulteriore violenza che va a rendere ancora più difficoltoso il percorso già difficile di per sé a cui la bimba andrà incontro negli anni della pubertà e poi in seguito.

Sébastien Lifshitz, accolto nella casa di Sasha, documenta per mesi la quotidianità, le prove da superare, i traguardi raggiunti e la delicata essenza di una bambina che, giorno dopo giorno, riesce a costruire la persona che vuole diventare, spiegando con naturalezza chi è a chi incontra, amiche di scuola o adulti. Senza impalcature inutili o complicazioni, piano piano senza paura.

Petite fille – Nel corpo sbagliato è disponibile fino a domani su ARTE.TV, qui il link.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.