Sotto cieli viola striati di verde acido una giovane donna torna alla vita (anche se non per suo volere), per rinascere fisicamente, sessualmente, intellettualmente. Pone fine a tutto ciò che le è sempre stato imposto, impara a conoscere gli uomini, creature grottesche, povere creature, e decide come stare al mondo, con un pizzico di genuina crudeltà e una libertà tale da renderne difficoltosa la descrizione a parole, senza essersi fatti investire prima dall’odissea di Yorgos Lanthimos, che ha per protagonista un’eroina rivoluzionaria e sfacciatamente senza paletti, fisici o mentali, e che è probabilmente il miglior ruolo della carriera di Emma Stone.
Bisogna morire per ottenere ciò che si vuole (ma vale solo se sei una donna)
Serve uno scampato suicidio e un innesto di cervello ad una donna per cambiare vita? In Poor Things è proprio ciò che succede a Bella Baxter (Emma Stone), prima senza nome, vista di spalle, pronta a saltare da un ponte dritta nel Tamigi, incinta e con un abito vittoriano blu come l’acqua in cui vuole annegare. Poi salvata dal dottor Godwin Baxter (Willem Dafoe), simbolicamente soprannominato God, che si cimenta in una morbosa impresa, tra medicina e fantascienza, volta a riportare in vita il corpo adulto ormai morto, nel quale innesta il cervello del feto rimasto vivo dopo la caduta.
Come il Frankenstein di Mary Shelley, God sperimenta il ritorno alla vita, ma Lanthimos riprende le parole di un altro autore letterario per Poor Things. Il film è basato sul romanzo omonimo di Alasdair Gray, pubblicato nel 1992. Un testo che di per sé racchiude una grande ironia, sia nella struttura che nella storia, e che ambienta in epoca vittoriana il tentativo di definire l’identità di Bella e la sua forza nello smentire le azioni e le bugie degli uomini sciocchi che la vogliono rendere prigioniera di convenzioni e costrizioni.
Il richiamo al passato è un escamotage che sviscera l’urgenza di raccontare le diseguaglianze e la disparità tra i sessi, ma che permette anche di realizzare una critica ancora più feroce al presente. Da una paradossale blank slate intellettiva Bella cresce, impara a camminare e a parlare. Le emozioni primarie come la rabbia e la paura si contaminano poco a poco a sentimenti più complessi, come il risentimento o la malinconia. Se prima il suo corpo era in balia di altri agenti, come il padre acquisito God, ora ne scopre le potenzialità, ma soprattutto, e non sarà mai ripetuto abbastanza, diventa consapevole che quel corpo è suo e può farci tutto ciò che vuole. Non per suicidarsi di nuovo, ma per esasperarlo, viverlo, venderlo, marchiarlo, scoprirlo, velarlo, solo a suo piacimento.
Nessun sentimento, sono solo cavalcate selvagge
In Poor Things il sesso ha un ruolo principale. Fa parte del percorso evolutivo di Bella e al tempo stesso è la lente di indagine attraverso cui impara a conoscere gli uomini e le donne, le loro pulsioni, le fragilità, i suoi stessi desideri, come liberati dall’assenza di pudore, tipica di un neonato, ma amplificata e celebrata da un corpo già formato e maturo. Il discorso che ruota attorno alla gravidanza, motivo per cui scopriremo che Victoria, è questo il suo vero nome, aveva provato ad annegare lei e il futuro figlio, è sottile e si tinge con i toni della dark comedy, ma solo perché nella realtà è tutt’altro che comedy ma solo veramente dark.
Rifiutando di diventare madre, Bella fa sesso solo e unicamente per il suo piacere personale, importantissimo per il benessere che ne consegue, necessario per sperimentare il sentirsi vivi e padroni di sé. Dopo essersi sottratta all’ennesima prigione – il tentativo di God di farla sposare con un suo studente, Max McCandles (Ramy Youssef) – scappa in un’avventura in giro per il mondo con l’avvocato Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo). Ma dopo giorni di amplessi selvaggi gli aspetti libertini e dissoluti dell’uomo vengono sostituiti dal bisogno di possedere la donna anche come individuo, dall’inadeguatezza nei confronti del suo atteggiamento così svincolato dalle regole comuni, dalla paura (patetica e divertentissima) di perderla, diventandone dipendente.
Cosa fa per tenersela? Diventa prevaricatore e violento. A tali dinamiche Bella, che prova vergogna solo quando scende a compromessi con la società che la circonda, reagisce decidendo di vendere il suo corpo in una casa di piacere a Parigi, ed è così che riuscirà ad andare ancora più a fondo nella stratificazione di emozioni e conoscenze che la renderanno infine padrona delle sue scelte, anche le più rischiose, come scoprire chi la spinse a suicidarsi nella sua vita “precedente”.
La regia di Yorgos Lanthimos
Grandangoli disperati, contrasti in bianco e nero tagliati con il rigore di un romanzo gotico tradotto in immagini, acidissimi scenari per un’estetica steampunk. La rappresentazione del viaggio onirico cucito attorno agli occhi azzurri e spalancati della protagonista, che con capelli neri di seta sfascia con violenza il patriarcato, è una metafora epica ed esilarante. Bella non sta al suo posto, non considera deliziosa ogni cosa, non le piacciono i bambini e neanche i tediosi uomini che si lamentano delle loro inettitudini, che siano dettate dall’ignoranza di credersi migliori o dalla saccenza esibita solo per paura del mondo circostante.
Sensuale in un modo maldestro e giocosamente umano, il racconto di Lanthimos dopo La Favorita (2018) fa un passo ulteriore ed estremizza lo sguardo, scompone i piani, ci ipnotizza con una favola visionaria sferrando poi un colpo più che diretto alla realtà tragica del presente. La scoperta attraverso il corpo e la violenza che era acerba e poetica in Kynodontas (2009) si fa ponderatamente matura, più consapevole, volutamente spietata.
Da bebè a eroina esistenzialista: gli abiti di Emma Stone in Poor Things
L’effetto finale non sarebbe tale senza il lavoro sui costumi di Emma Stone nel film a cura di Holly Waddington. L’importanza delle forme e dei volumi accompagna visivamente il percorso di crescita della protagonista; se prima indossa abiti dai colori tenui, ricchi di sbuffi e arricciature, come quelli realizzati per i bebè, la ritroviamo alla fine del suo percorso, dopo l’influenza del clima culturale parigino, con geometrici outfit dai colori scuri e linee semplici.
Tra il rosa e il nero però assistiamo a una carrellata di abiti che traducono la sua forsennata sperimentazione: colori pieni, forme audaci, “maschere” di stoffa che mettono in scena la dissacrante rilettura delle imposizioni di stile vittoriane, che prevedevano vere e proprie gabbie di stecche e inflessibilità per il genere femminile.
In breve
In Poor Things Bella/Emma Stone reimpara a vivere, come una neonata nel corpo di una donna. Fa esperienza della crudeltà, del grottesco, della fragilità umana (e tediosamente maschile), ma scopre cosa significa scegliere per sé, essere padrona del proprio futuro.
Se il film di Lanthimos vi sembrerà un Barbie che ce l’ha fatta, è perché rappresenta solo l’altra faccia della medaglia di un discorso attuale di violenza e prevaricazioni, dalle quali Greta Gerwig si difende attraverso l’immaginario pop, mentre il regista greco sfrutta quello gotico/dark. Entrambi però ci donano – letteralmente – un elogio alla vagina delle loro protagoniste, e promuovono la piena libertà del corpo femminile. La riflessione sulla bellezza (innegabile) di Poor Things va rapportata alla drammaticità dell’attualità che vuole frantumare, si inserisce in un momento complesso e lo fa con forza, arrivando a divertire e incantare il suo pubblico.
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