Mildred Ratched e Ryan Murphy si incontrano per una serie dall’accurata ricerca estetica e toni tenebrosi e ambigui. Da ieri disponibile su Netflix.
Anni ’40, omicidi pronti a darci il benvenuto e corridoi inondati di luce, in un manicomio che somiglia ad una reggia. Dietro alla macchina da presa Ryan Murphy, prolifico autore, produttore, regista che non si ferma mai, firmando negli anni alcune delle serie più interessanti mai viste (American Horror Story, Pose, The Politician, senza dimenticare Glee e Feud).
Stavolta si dedica ad un’immaginifica realizzazione, per donare un background in pieno stile American Horror Story al personaggio di Mildred Ratched, infermiera dell’ospedale psichiatrico del libro One Flew Over the Cuckoo’s Nest, Qualcuno volò sul nido del cuculo, di Ken Kesey, diventato un film nel 1975 vincitore di 5 premi Oscar e 6 Golden Globe, tra cui due premi all’attore protagonista Jack Nicholson.
Mildred/Sarah
Il film del 1975 tratto dal romanzo omonimo è diretto da Miloš Forman. A dare il volto ad uno dei personaggi più terrificanti della storia del cinema, ovvero Mildred Ratched, è Louise Fletcher. Caporeparto antagonista di Randle Patrick McMurphy, fredda e crudele, quasi disumana per il suo distacco nei confronti dei pazienti.
Per Ratched Murphy ha scelto Sarah Paulson, attrice iconica di gran parte della sua produzione. Si sa che il regista “colleziona” un gruppo di attori a cui è più affezionato per riproporli nelle sue opere successive di volta in volta. Succede anche per Finn Wittrock, già in American Horror Story e American Crime Story.
Nel pilot la donna cerca di farsi assumere nell’ospedale psichiatrico dove sta per essere internato, prima di un processo per un particolare omicidio plurimo, Edmund Tolleson. I fatti avvengono nel 1947, quasi 20 anni prima del film; ciò che tenta di fare l’autore è delineare un background psicologico ed emotivo che possa fornire risposte in merito alla Mildred degli anni ’60.
Sarah Paulson è divina, sin dalle prime inquadrature. Si muove nei panni di ogni suo nuovo personaggio come se indossasse un abito che le calza a pennello: lo infila, ci si adatta, ed è in grado di trascinare chi guarda in qualsiasi tipo di fantasia, periodo storico, dettaglio caratteriale. Se non bastasse questo è la regia a muoverle attorno un quadro sensoriale che passa dalla realtà a dimensioni allucinate dove la luce volge al verde e la musica accentua ogni passo della donna.
Costruire con grazia
In 54 minuti Ryan Murphy non si sbilancia troppo, concedendo il giusto senza elementi ulteriori. Ma visivamente immerge lo sguardo in sequenze simmetriche curate nei minimi particolari: dedicandosi ad una decade che ama particolarmente, cambia i toni del suo più recente Hollywood, fondendolo con le atmosfere di American Horror Story in una perfezione formale quasi maniacale. I luoghi, le acconciature, gli abiti, ogni elemento concorre ad una ricerca stilistica che fa di Ryan Murphy uno dei più notevoli registi quando si tratta di rispettare e, al tempo stesso, personalizzare un immaginario.
Ogni inquadratura è perfetta, stilisticamente un piacere visivo di cui non farei mai a meno: ma siamo solo all’inizio. Spero che le scenografie ricercate e la fotografia satinata siano un dolce incipit per 8 puntate totali.
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