I Dannati di Roberto Minervini. Okta Film, Pulpa Film
I Dannati di Roberto Minervini. Okta Film, Pulpa Film

Roberto Minervini l’ha fatto di nuovo, con I dannati ha aggiunto un altro tassello a quel suo cinema totale, in cui la realtà si trasfigura pur rimanendo sempre fedele a se stessa.

I dannati è passato a Cannes 77, nella sezione Un Certain Regard, nei primi giorni del Festival e dal 16 maggio è uscito in sala in Italia con Lucky Red. Mentre il regista accompagnava il film, città per città – anche a Roma dove l’abbiamo incontrato – dalla Croisette è arrivata la notizia della vittoria del premio alla miglior regia (ex aequo con Rungano Nyoni per On Becoming a Guinea Fowl).

I dannati, temi e trama

I dannati è stato definito – impropriamente, secondo il regista – il primo film di finzione di Roberto Minervini. È difficile infatti descrivere il cinema di questo autore se non attraverso le sue parole.

Un cinema dell’esperienza, non del reale né di finzione, che prende forma man mano che la storia avanza sul set. È ciò che è accaduto anche con I dannati, opera realizzata senza sceneggiatura ma solo con l’idea di mostrare ciò che accade ai soldati prima, durante e dopo una battaglia.

L’ambientazione è il 1862, tra la fanteria e la cavalleria di un gruppo di volontari della guerra di secessione americana. Ognuno, nella sua solitudine, affronta il senso della guerra stessa, interrogandosi.

Una scena di I Dannati di Roberto Minervini. Courtesy of Lucky Red, Okta Film, Pulpa Film

Come ogni film di Minervini, I dannati pone al centro l’identità statunitense contemporanea, nonostante l’ambientazione storica. Mette in scena un individualismo estremo, all’interno di una visione sempre più polarizzata negli Stati Uniti. E nonostante Minervini ammetta di non aver ancora visto Civil War di Alex Garland (“perché quando realizzo un nuovo film mi isolo, cerco di non guardare nient’altro”, afferma a Roma), è chiaro che vi sia una connessione ideale fra le due opere.

Un sentire comune che nasce dall’attacco a Capitol Hill del 2021, dalla certezza che le istituzioni democratiche statunitensi sono nel momento della loro massima vulnerabilità mentre l’identità nazionalista, cristiana e suprematista sta per tornare indisturbata con le elezioni presidenziali di novembre 2024.

Cosa sapere su Minervini e I dannati

Il cinema di Roberto Minervini è qualcosa di unico nel panorama italiano e, come tale, potrebbe spiazzare. Non è mai completa finzione e allo stesso tempo non è perfetta osservazione etnografica. Minervini è sempre consapevole delle caratteristiche di sintesi e manipolazione di una macchina da presa sulla realtà che osserva. E che il cinema abbellisce e trasforma.

Ne I dannati, il regista mette degli uomini in uniforme ottocentesca, ma i loro corpi e i loro dialoghi sono reali, sono frutto di un’esperienza di condivisione dello spazio intorno al film che si avvicina al documentario, senza esserlo. “Quando faccio un film scelgo di convivere per due mesi con l’intera troupe”, afferma il regista. E quei due mesi non sono solo quelli fra un ciak e l’altro, sono l’interezza dell’esperienza.

È anche questo che detta il tempo e il ritmo in I dannati. Un tempo lento, apparentemente privo di azione, in cui la vita scorre e i pensieri prendono forma. Un tempo in cui si sente e si percepisce, in cui si costruisce l’io, contrapponendolo, forse, a un noi.

La regia di Roberto Minervini

Roberto Minervini lo dichiara con una tranquillità che inevitabilmente colpisce chi ascolta: “I dannati è stato scritto giorno per giorno”. È stato scritto insieme agli attori protagonisti, cioè fidandosi delle loro intuizioni e senza avere in mente un pre-montaggio della storia. Ci vuole coraggio – e una visione estrema, totalizzante, autoriale – del cinema per fare un film così. Un film che riempie gli occhi per la cura, i dettagli e la bellezza di ogni inquadratura, come se di volta in volta contasse solo quella.

Una scena di I dannati di Roberto Minervini. Courtesy of Lucky Red

C’è un particolare che non passa inosservato e che, conferma Minervini, non è affatto casuale. L’immagine non è mai a fuoco su più di un personaggio. Non esiste dialogo che sia condivisione della stessa esperienza: tutto esiste solo nella singolarità, nella solitudine. È anche questo il modo in cui viene ripresa la battaglia centrale del film, secondo la ricostruzione del regista.

In diversi giorni di ripresa, la troupe ha seguito ciascun attore dal tramonto all’alba, ripetendo la battaglia da ogni punto di vista. È nel montaggio di Marie-Hélène Dozo che poi è stata ricucita tutta insieme, ma la guerra è appunto qualcosa che ogni uomo affronta da solo. E già quest’idea soltanto, così come messa in atto da Minervini, spiega la complessità e la straordinarietà della sua regia.

Cercate il cinema più vicino, I dannati è un’esperienza da fare in sala.

V.V.

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