
A lungo atteso, scritto e diretto da Todd Field, Tár arriva finalmente in sala. È la storia di Lydia Tár, compositrice e direttrice d’orchestra impersonata da Cate Blanchett. Candidato a sei premi Oscar, con l’attrice protagonista già premiata a Venezia e ai Golden Globe.
Tár è un’opera maestosa dove si fronteggiano l’essere umano e l’essere artista di una persona.
Il mito di Tár
Ciò che ci viene raccontato subito di Lydia Tár (Cate Blanchett) sono le sue imprese. Diplomata a Vienna, specializzata nella musica indigena della valle di Ucayali nel Perù orientale. Direttrice per le cinque maggiori orchestre sinfoniche americane, le cosiddette Big Five. Compositrice per il teatro e per il cinema. EGOT. Responsabile di un programma di borse di studio per direttrici donne e molto altro ancora. Attualmente direttrice della Filarmonica di Berlino. Nell’apprendere tutto questo si evince che Lydia Tár sia insieme speciale e universale.
Quando inizia a parlare, lentamente questo curriculum aderisce a una persona che sembra affabile e competente. Ha idee precise sulla materia che tratta, la musica, idee personali sviluppate durante la sua continua affermazione. Tár ha già registrato otto delle nove sinfonie di Gustav Mahler con la sua orchestra e si appresta a registrare l’ultima, la quinta, dal vivo. Perdurerà durante il film la certezza che lei, nonostante tutto, sia innamorata veramente della musica.
Le idee e il lavoro di Lydia
Durante un pranzo con l’amico e collega d’affari Eliot Kaplan (Mark Strong), direttore d’orchestra dilettante cui dà consigli, asserisce di voler rimpiazzare il suo assistente Sebastian Brix (Alian Corduner), ormai troppo vecchio. Aggiunge qualche commento su quelli che definisce “robot”, che apertamente detesta .
Lo ripeterà infatti allo studente della Juilliard School, Max (Zethphan Smith-Gneist), alla fine di una disastrosa masterclass. Per lei i direttori non devono essere schiavi di nulla se non della musica. Non “servono” opinioni o scelte, ma la musica e ciò essa può comunicare. Ogni aspetto personale deve sublimarsi in essa. Ma già si coglie che queste risolute convinzioni si realizzano a scapito di altri, poiché sullo sfondo della sua grandezza si intravede un passato che lei cerca di dimenticare e nascondere.
Lydia è sposata con il suo primo violino, Sharon Goodnow (Nina Hoss), con cui ha adottato Petra (Mila Bogojevic). Per lei il lavoro e la famiglia sono tutto e ce lo dimostra anche con gesti controversi. Emerge dunque un oscuro lato umano che fa contraltare a quel radioso lato artistico che ci aveva catturato inizialmente.
Non essere così ansioso di essere offeso. Il narcisismo delle piccole differenze conduce al conformismo più noioso.
Lydia a Max

Approcciarsi alla caduta (da qui in poi attenzione spoiler)
Dominatrice autocratica, Lydia comanda, non dirige solamente l’orchestra. Durante le prove della sinfonia conosce la nuova violoncellista Olga Metkina (Sophie Kauer), per cui sviluppa un’infatuazione. Le sue scelte in merito alla quinta di Mahler da tecniche si fanno emotive, distorte. Le attenzioni per la nuova favorita producono il risentimento degli altri membri dell’orchestra e della moglie che ne è parte. Perché il bisogno di dominare si è insinuato anche nella sua capacità di amare e questa ossessione, unita ad una vecchia storia d’amore finita in tragedia, la condanna.
Veniamo a conoscenza di una relazione avvenuta mesi prima con un’allieva direttrice, Krista Taylor. La ragazza, che tutti evitano di nominare, si suicida e ciò contribuisce a farle intorno terra bruciata. Legalmente coinvolta nella sua morte, viene accusata dai media di predazione sessuale nel lavoro. La sua vita e la sua carriera iniziano a precipitare.
Vittima, colpevole o eroina
La beffa legale si lega a quella morale. Un video derisorio di lei durante la masterclass inizia a circolare in rete. Eventi assurdi capitano in continuazione mentre lavora e rumori e suoni sono costanti: metronomi accesi durante la notte, allarmi medici nella casa dei vicini. La paranoia assale Lydia e la sua salute mentale e fisica peggiora costantemente. Prima abbandonata dalla sua assistente Francesca Lentini (Noémie Meriant), esclusa dal posto di assistente di direzione dopo averlo tolto a Sebastian, poi dai responsabili dei suoi progetti, dagli amici, dalla moglie. Infine le viene tolta la direzione dell’orchestra, sebbene la sera dell’esecuzione della quinta vi s’intrufoli lo stesso finendo a prendere a pugni Eliot, il rimpiazzo.
Cade così la nostra protagonista. Ma non finisce il film.
Torna nella casa dove è nata e lì, ispirata dalle parole del defunto maestro Leonard Bernstein, torna all’unica cosa che veramente le è rimasta: la musica. Perché Lydia è un’eroina e come tale non è destinata veramente a cadere. Pur ancora turbata dagli eventi appena conclusi, andrà a nelle Filippine a dirigere ancora.
Cate Blanchett e la diplofonia attoriale
La diplofonia è l’emissione di una voce che sembra come raddoppiata. Il cantante diplofonico, mediante le risonanze che si creano nello spazio tra le corde vocali e la bocca, riesce a cantare due suoni distinti con una singola voce.
Può una performance attoriale essere tale? Si può recitare un personaggio in maniera che ci risulti contemporaneamente doppio? Cate Blanchett c’è riuscita: dà vita con la sua Lydia Tár all’immortale confronto tra artista e persona, con tale da maestria da lasciarci attoniti.
Tanto è indiscutibilmente velenosa in alcuni momenti, come quando minaccia la bambina che va a scuola con Petra o nega ogni legame con Krysta, tanto ci convince ad ogni prova della sinfonia che nulla per lei sia vero e sincero quanto la musica. Prestiamo occhio ad ogni suo gesto e ad ogni sua parola. Siamo rapiti da come possa in lei convivere questa dicotomia così maestosa.
Eppure, a fronte di tanta bravura, mai ci sembrerà che porti sulle spalle il peso del film. Proprio perché esso si sostiene da solo, la sua centralità spicca nitida e ci offre una piena libertà di interpretazione e giudizio di tutto quello che lei ci mostra.

Nella contemporaneità
Il film si apre con una live su un cellulare dove la primissima Lydia che vediamo dorme scompostamente in aereo e si chiude ad un concerto per cosplayers dove dirige un’orchestra che suona la colonna sonora di Monster Hunter.
Durante la visione prendiamo coscienza di come le tecnologie moderne abbiano impatto sulla sua vita e la carriera. Da quelle mail non eliminate di Krysta ai video su youtube dell’esibizione di Olga, dal video pubblico della masterclass montato per deriderla alle vecchie videocassette dei concerti-lezione di Bernstein.
La contemporaneità si percepisce anche nelle questioni affrontate o sfiorate nel film: l’eccessiva specializzazione dei professionisti, il potere nelle relazioni e nel lavoro, il pregiudizio di genere nel lavoro e nelle arti, il distacco tra aspetto umano e aspetto artistico.
Le offese e le offerte degli artisti
Una questione importantissima viene dibattuta nel film, avvolgendo la protagonista. Durante la lezione alla Juilliard School, Lydia si scontra con Max, studente pangender BIPOC, sulla figura di Bach, illustre compositore risaputamente misogino. Ecco la grande diatriba sull’aspetto umano e quello artistico di un individuo. Nel caso di Bach affermiamo con certezza che fosse sia un misogino che un grande compositore. Ci giunge però più vivido il ricordo di lui come artista che come uomo riprovevole.
È curioso che in un altro film di quest’anno, Gli Spiriti dell’isola, si discuta della sopravvivenza nel tempo della musica di una persona a scapito della gentilezza di un’altra. Gentilezza e misoginia sono esempi di condotta. Nel film citato Colin Farrell dice che sua madre era gentile proprio come lo è lui. Perché i modelli comportamentali si tramandano. E talvolta, come nel caso della misoginia di Bach, sono esempi di cui faremmo volentieri a meno nel futuro.
La musica invece si cristallizza, si istituzionalizza in una forma infrangibile e incorruttibile. Così se il lato artistico è tale da secoli e così ci giunge, il lato umano sarà intatto solo se, per quanto deprecabile, sarà anch’esso giunto fino a noi in maniera riconoscibile.
La musica è l’unica verità
Il film, dopo aver lanciato il tema del conflitto tra persona e artista, deposita in ciascuno di noi una verità unica che culmina nel discorso finale di Leonard Bernstein. Nel primo dei cosiddetti Concerti per giovani, trasmessi dal 1958 al 1972 sulla CBS, Leonard Bernstein spiegava al giovane uditorio cosa significa la musica.
Lo fece attraverso una veemente orazione che svestiva la musica di ogni storia e contesto. Il significato della musica, disse il direttore, è il modo in cui ti fa sentire quando la ascolti. La nostra protagonista alla fine del film dirige un’orchestra. Finisce il film nella musica. È per lei l’unica salvezza e certezza.
Se Bernstein dice che la cosa più meravigliosa di tutte è che non c’è limite ai diversi tipi di sentimenti che la musica può farti provare, non c’è neppure un limite ai diversi tipi di musica che può farci provare un sentimento. Perché la musica non ha confini, limiti o obblighi, non ha storie o tecnicismi che importino all’orecchio che sa emozionarsi per essa e per le sue note.
In breve
Todd Field è stato in grado di scrivere e dirigere ad arte un film su un personaggio che lascerà il segno nelle gallerie di personaggi simbolo di una società. È la rappresentazione di un conflitto così intimo da risultare pervasivo in ogni sua sfumatura.
Tár travolge mente e corpo dello spettatore e lo lascia alla deriva sul confine tra estasi e tormento.
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