Tempo d'attesa, scritto e diretto da Claudia Brignone, TFF 2023
Tempo d'attesa, scritto e diretto da Claudia Brignone, TFF 2023

Un documentario veramente riuscito è quello in cui l’occhio del regista non si percepisce, e il flusso di immagini ed eventi si sussegue come se si mostrasse davanti agli occhi dello spettatore, senza il filtro dello schermo. È l’effetto che si ha con Tempo d’attesa, il documentario scritto e diretto da Claudia Brignone (che ne ha curato anche la fotografia), presentato in concorso nella sezione Documentari Italiani nella quarantunesima edizione del Torino Film Festival.

Raccontarsi e confrontarsi

Un racconto immerso nel femminile e nell’esperienza della maternità, che diventa un’occasione di confronto e comunità grazie a Teresa De Pascale, ostetrica con molti anni d’esperienza che aiuta le future mamme a partorire ma non solo: le accompagna lungo un viaggio che comprende incertezze, insicurezze, paure e previsioni riguardo al futuro da genitore. Mettendo le donne in cerchio sotto ad un albero instaura con loro uno spazio sicuro dove non si deve rispondere in base alle aspettative che il mondo esterno ha di loro.

Il gruppo di donne in gravidanza si incontra ogni settimana nel parco del Bosco di Capodimonte, a Napoli. Lì, sotto ad una magnolia, condividono il proprio percorso; alcune storie sono simili, di bambini desiderati e subito arrivati, altre molto lontane, colme di difficoltà e sofferenza. La loro psicologia e le esperienze di vita che le hanno condotte fin lì sono parte integrante del cammino intrapreso insieme.

Le mamme si rivelano e continuano ad incontrarsi anche dopo la nascita dei bambini: l’immagine che Claudia Brignone restituisce allo sguardo è la ricchezza di una comunità quasi arcaica, dove le donne si esprimono senza adeguarsi alla società e alla percezione che in essa si ha della maternità, fortemente distorta e distaccata dalla comprensione del corpo, della sessualità e della psiche di chi la vive. Guidate da Teresa, acquistano consapevolezza del proprio futuro, elaborando non solo la gioia ma anche tutto il magma di sentimenti che le investe, positivi e negativi, incatenati.

Quando ho scoperto di essere incinta mi sembrava che tutti avessero un’opinione e una verità sulle cose giuste da fare. Mi sentivo indirizzata su una traiettoria che avevano deciso altri per me, frutto di quelle che mi sembravano consuetudini e pratiche standardizzate, e dalle scelte compiute dalle altre donne della mia famiglia. Mi sono chiesta se ci poteva essere un altro modo, più personale, di affrontare il totale sconvolgimento che stavo vivendo. È da queste mio “cercare” che nasce questo film.

Claudia Brignone
Tempo d’attesa, il documentario di Claudia Brignone

Senza mai esibire

La macchina da presa della regista indaga con estrema delicatezza le esperienze con cui entra in contatto, ma la sua voce non si sente mai, questo perché l’approccio di Claudia Brignone punta ad una narrazione pura, senza esibizione o descrizione, e questo si realizza con successo anche grazie ad alcune delle donne del gruppo di Teresa, che acconsentono a mostrare la loro intimità, la case in cui partoriranno e il loro travaglio, fino alla nascita.

Tempo d’attesa è un film documentario che riflette sul diventare genitori, anche quando questo implica una serie di difficoltà spesso minimizzate o ignorate. È un lavoro che azzera i preconcetti per affrontare tematiche che vengono costantemente sottovalutate durante un percorso di gravidanza: il cerchio in cui le donne si fanno conoscere è saldo e dona sicurezza, l’opera di Brignone riporta a 360 gradi “l’essere” femminile, attraverso le emozioni, il corpo e l’accettazione che ogni cosa cambi da lì in poi.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.