Sarebbe bastato veramente poco a The Iron Claw (The Warrior) per essere il film, come qualche intuizione registica, una maggiore cura dei personaggi. Dettagli che lo avrebbero fatto entrare di diritto nell’Olimpo dei migliori del 2024.
Nonostante questo però il film diretto da Sean Durkin si difende bene, soprattutto fuori dal ring, dove i sentimenti sostituiscono body slam e suplex. The Iron Claw è una storia familiare che mostra uno spaccato storico colmo di contraddizioni, popolato da uomini muscolosi ricoperti di lividi che fanno quello che fanno per la famiglia e per un’idea distorta di mascolinità che li porterà alla distruzione. Nel racconto di una maledizione legata al nome Von Erich a guidare la nostra attenzione c’è Zac Efron, che brilla come non mai in un cast già perfetto.
Il biopic si sviluppa con eleganza, lasciando spazio alla riflessione sul maschile e sulla figura paterna che non perdona neanche mezza lacrima ai suoi figli, e nell’ottica di uomini che non devono mai piangere a colpire è il sentimentalismo (positivo e non stucchevole) che trasforma i volti plastici e abbronzati in quelli di ragazzi sperduti.
Il Texas, l’arrivo degli anni ’80 e la competizione (tutta al maschile)
Ha un’introduzione ruvida e in bianco e nero The Iron Claw, dove il wrestler Fritz Von Erich (Holt McCallany) si sta battendo/esibendo sul ring mentre la moglie e i suoi due figli lo aspettano fuori. Non ha molto, neanche una casa, ma pezzo dopo pezzo sta costruendo la sua fama, a partire da una Cadillac presa a noleggio. Duro, forte e irremovibile, ha l’ambizione di essere il migliore e la trasmette ai suoi bambini.
Anni dopo vediamo la famiglia Von Erich (Fritz e la moglie Doris con i loro quattro figli) portare avanti il business: nel Texas di fine anni ’70 (all’alba degli ’80 ruggenti e scintillanti), tra pantaloncini estremamente corti e fasce di spugna sfoggiate come accessori sexy, Fritz è proprietario della WCCW, il figlio Kevin (Zac Efron) è già un wrestler affermato e David (Harris Dickinson) sta per seguire le sue orme. Kerry (Jeremy Allen White) si unirà in seguito all’attività di famiglia, mentre Mike (Stanley Simons), appassionato di musica, non ne vuole proprio sapere di combattimenti, anche se cederà sotto le pressioni del padre.
Dal punto di vista del genitore la competizione è il legante dei loro rapporti, l’origine dei successi che portano a casa e degli insuccessi che li spingono a superare i propri limiti. In una struttura quasi totalmente patriarcale, in cui la madre è un soggetto silenzioso che non si esprime mai, questi cinque uomini vivono in bilico come in un’arena alimentata dall’ambizione di eccellere. Ma non lasciatevi suggestionare, perché The Iron Claw non è un film sul wrestling, bensì su un gruppo di fratelli uniti da un legame così forte da trascendere la spinta tossica di un genitore al limite dell’insensibilità.
C’è il Texas, la musica, lo sport, le luci della ribalta, che incorniciano un pezzetto di Storia fatta di uomini molto più fragili di quanto facciano credere.
Corpi e sudore davanti alla macchina da presa
La regia di Durkin segue i protagonisti con aderenza durante gli scontri, avvolgendoli e sfiorandoli. Li vediamo entrare in campo, con vestaglie sgargianti e paillettes, come super eroi di un’epoca lontana, i capelli biondi tagliano l’aria, vibrano, la coreografia del wrestling, fatta di figure e passi da rispettare, diventa l’unica lingua in cui riescono ad esprimersi, e noi seguiamo tutto da vicinissimo. Quei corpi sudati, ipersviluppati, al limite del grottesco, sono veri e vulnerabili, anche se le esibizioni sono studiate a puntino prima di salire sul ring. Quella stessa regia li accompagna anche quando sono nel loro privato, evidenziando tridimensionalità antiestetiche e occhi lividi e tristi.
La mascolinità ostentata, insegnata dal padre come difesa e simbolo di successo, è una gabbia che prova a compromettere la loro unione, ponendoli in lotta costante. Nonostante però le preferenze e le prese di posizione di Fritz per eleggere il più forte, quell’affetto non viene mai meno, e si contrappone ai muscoli e ai combattimenti con grande dolcezza. SPOILER – Una maledizione pesa sul loro destino, crederci o meno non fa differenza, perché è quella a cui darà la colpa Kevin guardando i suoi fratelli, uno dietro l’altro, fallire, rinunciare, togliersi la vita di fronte all’impossibilità di essere il più forte, il più bravo, il più famoso. La morte, come soluzione o come incidente, scandisce le fasi dell’ascesa e della discesa dei Von Erich, spingendo il maggiore sempre più lontano dall’idea di successo di suo padre. Lasciandolo libero di piangere David e gli altri.
I fratelli Von Erich
Per i fan del settore qualcosa non torna, Durkin menziona il fratello maggiore, Jack, morto a soli sette anni solo per farci entrare nel vivo della maledizione attribuita ai Von Erich (il cui vero cognome era Adkisson), ma omette la presenza di Chris, ultimo nato dopo Mike di cui nel film non vi è traccia.
Questo però non compromette il messaggio principale del film, ovvero il rapporto tra i fratelli Von Erich, il loro amore devoto a intenso, e la rappresentazione di un mondo privato dietro alla fama. Il regista, appassionato delle loro vicende, riesce a trattare con estrema sensibilità (e un pizzico di romantica immaginazione) una questione di famiglia, in cui le regole stabilite da un padre onnipresente distruggono lentamente gli equilibri, annientando tutto ciò che negli anni hanno conquistato.
Gli interpreti, trasformati, come nel caso di Efron, restituiscono fisicamente e psicologicamente il senso cieco di obbedienza ad una logica di potere (che poteva essere il wrestling come qualsiasi altro sport o attività), ma anche il senso di comunità e unione, che li fa sentire parte di qualcosa di importante che non è vincere una cintura o un riconoscimento.
In breve
The Iron Claw esce in Italia con un sottotitolo, The Warrior, che ne sminuisce la sensibilità richiamando in maniera semplicistica l’immagine standard del wrestler. Non potrebbe essere più lontano dagli intenti del regista Sean Durkin, che racconta i sogni e le frustrazioni di quattro fratelli, dipinti come eroi fallibili, uniti dall’amore più grande che si possa immaginare, capitanati da un grandissimo Zac Efron, trasformato e deformato, qui in uno dei migliori ruoli della sua carriera.
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